10 Ottobre 2018

Facebook pixel e 1st party cookie: aggiornamento di ottobre 2018

Oggi parliamo di Facebook pixel e 1st party cookie.

Con una mail inviata a tutti i proprietari di account pubblicitari che utilizzano il pixel di tracciamento, Facebook ha fatto sapere che a partire dal 24 ottobre 2018 renderà disponibile l’opzione first-party cookie con il suo pixel. Questa sarà l’opzione attivata di default su tutti gli account.

Si tratta di un cambiamento importante sia del punto di vista del tracciamento che dal punto di vista della privacy. È quindi importante capire a fondo cosa significa veramente questa novità e come le aziende possano prendere una decisione consapevole in merito.

Perché Facebook Pixel ha introdotto questa novità

Anche se né nella mail, né nell’annuncio ufficiale è detto chiaramente, questo cambiamento è stato dettato dalle politiche sempre più stringenti di Apple nei confronti dei cookie di terze parti. Già da giugno 2017 infatti, l’azienda di Cupertino ha deciso di bloccare i cookie in grado di effettuare il cosiddetto cross-device tracking all’interno del suo browser Safari. Questa decisione ha ovviamente messo i bastoni tra le ruote alle grandi piattaforme pubblicitarie (leggi Facebook e Google), per cui è diventato più difficile tracciare in modo preciso il comportamento degli utenti.

Che sia una decisione condivisibile o meno (dopotutto, chi non è stufo di venire inseguito dagli annunci del volo in Grecia che ha cercato 3 anni fa?), Facebook ha dovuto correre ai ripari, e questa novità è proprio una risposta alla politica di Apple. Nelle prime righe della mail inviata sembra lanciare una frecciatina a Apple, quando dice “use of first-party cookies for ads and site analytics is becoming the preferred approach by some browsers” (some browsers = Safari).

Nell’annuncio ufficiale invece sono più subdoli, perché cercano di far passare questa modifica come un modo per venire incontro agli inserzionisti, quando dicono:

“To give you more control over how you use your Facebook pixel, you can now decide whether to use your pixel for advertising and analytics purposes or for analytics only. You can also choose what types of cookies to use with your Facebook pixel.”

In realtà sappiamo che non è per dare maggiore controllo alle aziende, ma per cercare di aggirare il limite imposto da Apple.

Qual'è la differenza tra 1st party cookie e 3rd party cookie?

In questo articolo non spiegheremo cosa sono i cookie. Se hai bisogno di una rinfrescata puoi farlo rileggendo il nostro articolo.

Qual è la differenza tra cookie di terze parti e quelli “proprietari”? I cookie di terze parti sono quelli creati da un dominio diverso da quello in cui si trova l’utente al momento della visita, quelli proprietari invece sono quelli creati dallo stesso dominio in cui si trova l’utente. Per fare un esempio, sul sito digitalpills.it i 1-st party cookie sono tutti quelli creati dal dominio digitalpills.it, mentre i 3-rd party cookie sono quelli creati ad esempio da Facebook o Google.

I cookie di terze parti vengono tradizionalmente utilizzati dalle piattaforme pubblicitarie per tracciare il comportamento degli utenti tra siti diversi. Ad ogni persona è associato un id univoco (un po’ come la targa dell’auto) che permette di identificare tutte le visite di quella persona, a prescindere dal dispositivo utilizzato. E’ così che Facebook raccoglie sempre più dati sul nostro comportamento, e riesce a creare un’immagine sempre più precisa delle nostre preferenze e dei nostri gusti.

Utilizzando ad esempio il pannello “Application” degli strumenti per sviluppatori di Google Chrome è possibile vedere quali cookie sono stati salvati da un sito web. Per accedervi, all’interno di qualsiasi pagina puoi cliccare con il tasto destro, quindi ispeziona e poi “Application”:

Visualizzare cookie sito web

Prediamo ad esempio i cookie salvati sul sito digitalpills.it, come vedi si possono suddividere in cookie di terze parti e cookie proprietari:

Come impostare questa nuova opzione di Facebook Pixel e 1st party cookie

Nella guida ufficiale, Facebook spiega nel dettaglio la procedura da seguire per disattivare questa opzione. Ricordiamo infatti che l’opzione predefinita per tutti gli utilizzatori, a partire dal 24 ottobre, sarà quella di utilizzare sia il “vecchio” cookie di terze parti che quello proprietario. Se vorrai sfruttare l’opzione 1-st party cookie non dovrai quindi fare nessuna modifica al tuo account.

Se invece devi disattivare l’utilizzo di 1-st party cookie da parte di Facebook, di seguito riportiamo i passaggi fondamentali:

    1. Effettua l’accesso al tuo account pubblicitario Facebook.
    2. Clicca sul menu in alto a destra e seleziona l’opzione “Events manager” all’interno della sezione “Measure & report”.
    3. Seleziona il pixel per cui vuoi modificare l’opzione, e clicca sulla voce “settings”.

Clicca sul tasto “Edit” per modificare le preferenze.

Come funziona tecnicamente la nuova impostazione sui 1-st party cookie?

Per il momento la modifica non è ancora disponibile, riportiamo quindi quello che è stato raccontato da Adweek in un recente articolo. Dopo il 24 ottobre proveremo personalmente questa funzionalità e ne analizzeremo il funzionamento con i nostri lettori.

Il sistema dovrebbe funzionare in modo simile a Google Adwords. Facciamo un po’ di reverse engineering di una campagna del gruppo FCA:

  • In coda all’URL di ogni annuncio pubblicitario sarà aggiunto un parametro. Ad esempio se il link della landing da utilizzare è https://dpromo.fiat.it/pandawaz, all’interno di adwords il link diventerà https://dpromo.fiat.it/pandawaze?gclid=EAIaIQobChMIz6vBg5H53QIVTPlRCh02JQs9EAAYASAAEgJ_bPD_BwE. Nel caso di Google, gclid è proprio il nome del parametro che identifica una campagna adwords.
  • Il valore del parametro sarà salvato all’interno del browser del visitatore come 1-st party cookie, in modo da aggirare i blocchi di Apple. Anche il cookie di terze parti di Facebook sarà comunque utilizzato.
  • Il valore del parametro sarà inviato a Facebook insieme a tutte le altre informazioni sull’utente.

Per concludere, cosa cambia con questa novità

Ogni inserzionista potrà decidere se utilizzare o meno questa nuova funzionalità riguardante Facebook pixel e 1st party cookie. Probabilmente consentirà di aumentare l’efficacia degli annunci su Facebook grazie ad un miglioramento della definizione dei pubblici, quindi non c'è motivo di non usarla

Come al solito però, non è tutto oro quel che luccica: sarà infatti necessario verificare con il proprio dipartimento legale se questa modifica renderà necessario modificare la cookie e privacy policy del proprio sito.

 

1 Ottobre 2018

Che cos’è un Data Layer

In questo articolo scopriamo cos'è un Data Layer e a cosa serve.

Un data layer è un insieme di dati utile per condividere variabili e valori tra il tuo sito e Google Tag Manager (GTM). Comprendere che cosa è e come sfruttare al meglio il data layer è un concetto chiave del mondo di Google Tag Manager. Anche se spesso è considerato argomento di discussione per i soli sviluppatori, è consigliabile anche ai web analyst.

In questo articolo vedremo la definizione e le molteplici utilità del data layer, sfruttabili anche dai meno tecnici.

Cosa è un Data Layer?

Come dicevamo, il data layer è tecnicamente definibile come una struttura di dati utilizzabile per immagazzinare, processare e condividere informazioni tra Google Tag Manager e il tuo sito web.

E' il componente centrale del sistema di tracciamento e svolge il ruolo di ponte tra il sito web e i programmi di web analytics. Se sul nostro sito abbiamo installato Google Tag Manager, allora l'oggetto data layer è creato automaticamente (col nome dataLayer).

Perché usare il Data Layer?

Il data layer può contenere informazioni di tracciamento che non sarebbero disponibili con l'impostazione standard di Google Tag Manager. Può contenere dati su azioni ed eventi utili in fase di analisi su:

1. user experience (ad esempio sottoscrizione a una newsletter)

2. Dettagli sul visitatore (user ID)

3. Dettagli sugli acquisti (prodotti aggiunti al carrello, prezzo, sconti, etc).

Tutti questi dati raccolti durante le interazioni col tuo sito web, se messi a disposizione del sistema di tracciamento, possono sensibilmente migliorare il tuo scenario di web analytics. Usare il data layer è invece strettamente necessario quando si vuole implementare l'enhanced eCommerce di Google Analytics (GA).

Come passo informazioni al Data Layer?

Esistono due modi per passare dati al data layer. Il primo è argomento per sviluppatori, infatti consiste nell'implementare il data layer nel codice sorgente del sito: metodo necessario quando il data layer deve essere popolato di dati prima dell'attivazione di Google Tag Manager.

Ad esempio, se si vuole implementare l'eCommerce Tracking di Google Analytics, allora è necessario passare i dati (product ID, transaction Total, etc) al data layer in fase di caricamento pagina così che siano in seguito disponibili per Google Tag Manager (che li passerà a Google Analytics).

Il secondo metodo (consigliato per i meno tecnici) per passare dati al data layer, consiste nel trasferire i dati con Google Tag Manager (nello specifico con la funzione dataLayer.push) quando avviene un evento (non presente tra quelli standard di GTM) di cui riteniamo utile il tracciamento.

Ad esempio, per passare una variabile al data layer con il colore selezionato e quando il visitatore ha fatto un azione con un configuratore di un'automobile, la struttura della funzione potrebbe essere quella di seguito:

Come accedo ai dati di un Data Layer?

Abbiamo visto come il data layer sia un fonte di variabili e rispettivi valori, ma come facciamo ad accedervi e rendere tale dati utilizzabili in GTM e GA? Ogni variabile del data layer può essere trasformata in una variabile GTM in maniera molto semplice: dobbiamo andare nella sezione variabili del nostro Google Tag Manager, creare una nuova variabile di tipo Data Layer Variable e associarla al dato oggetto di interesse; ok! Ci siamo! Salvando le impostazioni la variabile appena creata sarà disponibile per creare nuovi trigger, nuovi eventi o per essere passata a Google Analytics.

Conclusioni

Dopo aver capito cos'è un Data Layer è molto importante avere chiare le sue potenzialità.

Il data layer infatti  può contenere la maggior parte delle informazioni legate al tracciamento di pagine web: eventi, informazioni sull'utente e transazioni e-commerce. Se vogliamo che questi dati facciano parte della nostra analisi del sito, allora è opportuno mettere in contatto il data layer col nostro sistema di tracciamento.

 

 

 

27 Settembre 2018

Cosa sono e come impostare i goal su Google Analytics

Oggi vedremo in questo articolo che cosa sono i goal su Google Analytics, a cosa servono, come impostarli e come usarli per la propria strategia di misurazione.

Che cosa sono i goal su Google Analytics

I goal su Google analytics sono specifiche azioni che permettono di valutare in che misura il sito realizza gli obiettivi che ti sei prefissato. Un goal rappresenta quindi la realizzazione di un'azione, chiamata conversione, che contribuisce al successo della tua attività.

Puoi configurare fino a 20 goal per view su google analytics, e il tuo obiettivo dovrebbe essere massimizzare il numero di visite in cui avviene il completamento di almeno un obiettivo. Se la percentuale di visite in cui ciò accade è bassa, è il caso di ripensare seriamente ad alcune questioni fondamentali:

  • Le strategie di acquisizione attuali portano traffico qualificato sul sito?
  • Il contenuto / la struttura del sito è sufficientemente efficace?
  • La user experience è di bassa qualità?

La definizione dei goal è il principale step di qualunque piano di analisi dei dati. Se gli obiettivi vengono configurati correttamente, Analytics fornisce informazioni di importanza critica, come il numero di conversioni e il tasso di conversione del sito. Senza queste informazioni, è quasi impossibile valutare l'efficacia delle attività e delle campagne di marketing.

Prima di configurare i goal su Google Analytics, è utile partire con carta e penna e schematizzare il processo di conversione, cioè identificare le azioni che ci aspettiamo che un visitatore compia prima di raggiungere il fine ultimo del sito. L’ultimo step di tale processo rappresenta il macro goal da configurare su Google Analytics (ad esempio la vendita del prodotto).

Oltre al macro goal è utile identificare quelle che secondo noi sono le milestone del processo, cioè quelle azioni che rappresentano una meta importante nel raggiungimento dell’obiettivo finale (ad esempio iscrizione alla newsletter, download PDF ecc).Una volta chiaro quello che secondo noi è il processo ideale, possiamo tradurre le milestones in goal.

Riassumendo, esistono MACRO e MICRO goal:

  • Macro goal = rappresentano gli obiettivi primari del sito, quelli per cui è stato progettato. Ad esempio la vendita per un sito di e-commerce o la generazione di lead per un sito di lead generation.
  • Micro goal = rappresentano azioni secondarie che gli utenti spesso effettuano prima di convertire o indicatori di interesse (es download coupon, chiedere info...)

I micro goal si possono dividere in due categorie:

  1. Milestone del processo: attività che rappresentano gli step precedenti che l’utente deve effettuare per arrivare all’obiettivo finale, il macro-goal.
  2. Azioni secondarie: indicatori di una potenziale macro conversione, di interesse e fiducia, ma non direttamente collegati alla conversione vera e propria.

Per un approfondimento più ampio su come  impostare una strategia di analisi con Google Analytics clicca qui.

A cosa serve tracciare i macro goal?

I macro goal sono gli elementi costitutivi dei key performance indicators (KPIs), le metriche chiave su cui bisogna basarsi per misurare il successo delle iniziative di marketing e di eventuali ottimizzazioni del funnel.

A cosa serve tracciare i micro goal?

Tracciare i micro goal può essere molto utile per identificare i punti di drop off del processo di conversione e quindi per progettare azioni di miglioramento della user experience del sito. È importante ricordarsi che i micro goal non rappresentano però dei KPIs. Nella pratica questo implica che le ottimizzazioni del sito, così come le nuove iniziative di marketing, devono avere come obiettivo l’aumento del tasso di conversione di un macro goal, e non di un micro-goal.

Come impostare i goal su Google Analytics

I goal sono configurati a livello di view: ogni view può includere un massimo di 20 obiettivi. E’ importante tenere in conto che i goal non possono essere eliminati una volta impostati, ma è possibile solo interrompere la registrazione dei dati ad essi relativi.

Puoi anche attribuire agli obiettivi un valore monetario, e questo costituisce una delle azioni più incisive che puoi fare nella configurazione di un sistema di tracking.

Infatti, l’obiettivo degli strumenti di web analytics non dovrebbe essere solo raccogliere informazioni sul flusso di clic. La finalità dovrebbe essere quantificare l’impatto e il valore economico del sito.

Inoltre, calcolare il valore del sito web permette anche di giustificare eventuali investimenti in ottimizzazioni e nuove iniziative di marketing

Set up

Per impostare i goal su Google Analytics:

  1. Vai su Admin > View
  2. Clicca su Goal > New Goal
  3. Seleziona l’opzione Custom
  4. Assegnare un nome al goal. Il nome deve essere chiaro e intuitivo, facile da interpretare anche per coloro che non lo hanno creato
  5. Selezionare il tipo di goal

Esistono 5 tipi di goal su Google Analytics:

  • Destinazione - l’obiettivo viene considerato raggiunto quando l’utente visualizza una pagina specifica, con l’URL da te indicato in fase di configurazione (es. Visualizzazione di una thank you page che indica l’avvenuto pagamento).
  • Durata - l’obiettivo viene considerato raggiunto quando la durata della sessione è maggiore di un tempo da te indicato (utile per i siti di contenuti, in cui la durata della sessione è indice di engagement).
  • Pagine/schermate per sessione - l’obiettivo viene considerato raggiunto quando l’utente visualizza un certo numero di pagine.
  • Evento - l’obiettivo viene considerato raggiunto quando l’utente effettua una determinata azione che corrisponde ad un evento su google analytics. Questa è la tipologia di goal maggiormente personalizzabile, in quanto può corrispondere a praticamente qualsiasi azione sul sito (click, scroll, visualizzazione di un elemento ecc)

Esempi di goal

  • Acquisto - categoria goal: e-commerce
  • Invio form di contatto - categoria goal: lead generation
  • Iscrizione alla newsletter - categoria goal: lead generation
  • Click indirizzo mail - categoria goal: lead generation
  • Click telefono - categoria goal: lead generation
  • Visita alla pagina store locator - categoria goal: purchase intent
  • Click sul link del sito di un rivenditore - categoria goal: purchase intent
  • Download di un pdf - categoria goal: brand engagement
  • Visualizzazione di un video - categoria goal: brand engagement
  • Visualizzazione di pagine specifiche - categoria goal: brand engagement

Concludendo, perché configurare i goal su Google Analytics?

Ora che sai cosa sono i goal su Google Analytics, usarli e configurarli ti da molti vantaggi.

La configurazione dei goal ti permette quindi di:

  1. Valutare l’efficacia delle campagne marketing sulla base di obiettivi da te impostati (su analytics: acquisition > campaign > all campaign);
  2. Capire quale segmento della tua audience ( caratteristiche demografiche e tecnologiche) converte di più ( su analytics: audience);
  3. Vapire da quali canali arriva il traffico che genera più conversioni e da quali fonti (su analytics: acquisition)
    rendono disponibili in una serie di report con scopi speciali (su analytics: conversions);
  4. Rispondere alla domanda chiave “Che cosa ha fatto per l’azienda il Web oggi?”

13 Settembre 2018

Come usare Google Analytics per un sito B2B

Vediamo in questo articolo come usare Google Analytics per un sito B2B e come sfruttarlo al massimo.

Google Analytics è visto (a torto) come uno strumento utile soltanto per i siti internet prettamente B2C, come ad esempio blog, ecommerce e siti vetrina.

In realtà Analytics può aiutare in modo sostanziale le aziende business-to-business e i team di vendita. Sapevi che con Analytics è possibile scoprire quali aziende hanno visitato il tuo sito, e addirittura quali pagine hanno visitato e per quanto tempo? In questo articolo vedremo quindi come utilizzare Google Analytics per i siti B2B.

Identificare le aziende più calde che hanno visitato il tuo sito

Quando una persona visita un sito web utilizzando la connessione dell’ufficio, con buona probabilità il suo ISP porterà dietro il nome dell’azienda.

Questo non permette di identificare il nome della persona che ha visitato, ma in molti casi non è nemmeno necessario. L’importante per il team di vendita è sapere che una persona in quell’azienda si trova al momento nella fase di consideration, sta quindi valutando se contattarci per un prodotto o servizio.

Vediamo quindi come trovare la lista delle aziende che hanno visitato il nostro sito web:

  1. Per prima cosa, apriamo Google Analytics. Dal menu di sinistra selezioniamo Audience > Technology > Network.
  2. All’interno di questo report si trova la lista dei singoli ISP e le principali metriche ad essi associate. Per ogni ISP possiamo vedere il numero di utenti che ha portato, il bounce rate medio, la durata media della sessione. Se non ti ricordi la differenza tra dimensioni e metriche puoi leggere il nostro articolo a questo link.
    In questo screenshot ad esempio possiamo vedere che l’ISP di Google ha portato 5136 utenti nel periodo selezionato, che hanno visitato in media 6.30 pagine per sessione per un tempo medio di oltre 3 minuti.
  3. Come si può notare, molti degli ISP sono riconducibili a provider di servizi internet “consumer” (in Italia ad esempio Fastweb, wind, tim, ecc.). Per pulire un po’ questi dati ed escludere gli ISP meno interessanti andremo ad applicare un filtro di esclusione.

    Cosa fare dopo...

  4. Clicchiamo quindi sulla scritta “avanzate” in alto a destra nella tabella, e selezioniamo “Escludi” “Service provider” “Che corrisponde alla RegEx”. Nel campo vuoto incolliamo questa lista di ISP da escludere : "tiscali|tim|poste|wind|fastweb|telecom|not set|customer|internet|broadband|isp|cable com|network|tele|dsl|subscriber|pool|telecom|cable|addresses|telefonica|routed|leased line|communication|comcast|verizon|road runner|service provider|unknown|provider|t-mobile|wifi|telkom|sprint|at-t|residential|province|vodafone|clients|china|dial-up|netblock|wimax|wireless|elisa|sonera|dna oy|at&t|assigned|sl-cgn|block|consumers|kpn|telia|bredband|google|hosting|zscaler|city of|tdc|hubspot"
  5. A questo punto i nostri dati dovrebbero essere un po’ più puliti, e dovremmo iniziare a vedere il nome di qualche competitor o potenziale cliente. Non preoccuparti se non conosci tutti i nomi: alcuni ISP più piccoli non sono conosciuti e magari non fanno capo ad aziende particolarmente interessanti.

Adesso che abbiamo estratto una lista di aziende potenzialmente “calde” e che hanno visitato il nostro sito possiamo iniziare a fare le prime considerazioni. Per prima cosa, verifica che il periodo selezionato nella tendina in alto a destra sia in linea con il consideration period dei tuoi clienti.

Normalmente per le aziende B2B questo periodo è abbastanza lungo, anche di qualche mese. Avrà quindi senso considerare le aziende che hanno visitato il tuo sito negli ultimi 3-4 mesi, ma non 2 anni fa: nel frattempo potrebbe essere cambiato lo staff e la persona interessata non essere nemmeno più al suo posto.

Trovare i nomi delle aziende più “calde”

Bene, se hai seguito la procedura che abbiamo illustrato ti troverai con una lista abbastanza lunga di aziende che hanno visitato il tuo sito. Però, non tutti i visitatori sono uguali: alcuni avranno visitato il tuo sito solo per curiosità, altri perché gliene ha parlato un collega, ed altri ancora perché sono davvero intenzionati a comprare i tuoi prodotti / servizi.

Come trovare questi diamanti? Ancora una volta Analytics ci viene in aiuto.

L’idea è quella di cercare di identificare le aziende più calde sulla base di comportamenti specifici che hanno avuto sul nostro sito. Di seguito proponiamo 4 metodi:

  1. Usando le metriche di engagement: l’idea più semplice che puoi venirci in mente è di ordinare la lista che abbiamo appena creato in base al tempo medio speso sul sito e/o al numero di pagine per sessione. Questo è possibile farlo velocemente: basta clicccare sul nome della colonna perché Analytics riordini i risultati come desideriamo.
  2. Filtrando per le pagine più interessanti: in questo caso sarà necessario aggiungere una dimensione secondaria alla tabella che abbiamo creato con il nome della pagina.
  3. Sfruttando gli eventi/goal: se all’interno del tuo sito hai configurato degli eventi o goal, puoi approfondire ancora di più al conoscenza delle aziende che hanno visitato il sito incrociando questi dati con quelli che abbiamo visto prima.

Capire cosa hanno fatto le persone delle aziende potenziali clienti sul tuo sito

Ti sembrerà fantascienza, ma sfruttando Google Analytics è anche possibile estrapolare delle vere e proprie schede degli utenti di determinate aziende, che ci dicono con precisione che cosa hanno fatto e in quali momenti. Stiamo pensando di creare un articolo su questo tema, se ti interessa faccelo sapere nei commenti!

Spreando che questo articolo su come usare Google Analytics per un sito B2B ti sia piaciuto e ti sia stato utile, se hai domande non esitare a contattarci.

7 Settembre 2018

Che cosa sono i parametri UTM?

Cosa imparerai da questo articolo

Su Google Analytics, le campagne pubblicitarie, i motori di ricerca, i social network e le varie sorgenti che inviano utenti al tuo sito sono noti come campagne.
Le informazioni relative alle campagne sono disponibili su un report dedicato, chiamato “Campaigns”. Il report “Campaigns” è altamente personalizzabile, in quanto dipende interamente dalla codifica impostata da noi. Questa codifica è basata sull’aggiunta di alcuni parametri, chiamati UTM, agli url dei link inseriti nelle campagne. In questo articolo vedremo che cosa sono e perché sono importanti. Per una completa e dettagliata panoramica su come utilizzarli puoi scaricare la guida gratuita.

Che cosa sono i parametri UTM?

I parametri UTM sono dei dati che vengono aggiunti a un URL per consentire il passaggio di un’informazione. Nella struttura dell’URL, i parametri UTM sono preceduti da un punto di domanda e sono composti da due blocchi “PARAMETRO = VALORE”:
http://sito.com/homepage/?utm_source=facebook.com&utm_medium=social&utm_content=ad1&utm_campaign=campagnaA.

Il nome del parametro (ad esempio "utm_source" e "utm_medium") non è modificabile, mentre il valore (ad esempio "facebook.com") è impostato da noi.

Tramite l'aggiunta dei parametri UTM agli URL delle campagne puoi raccogliere delle informazioni aggiuntive e renderle visibili nei report di analytics. È importante ricordarsi che gli UTM devono essere aggiunti esclusivamente su link che puntano al tuo sito e che si trovano fuori dal tuo sito.

Come possono aiutarci in pratica?

Ad esempio, se hai lanciato due campagne di email marketing (campagnaA e campagnaB) con all'interno dei link diretti al tuo sito e vuoi confrontare i risultati per vedere dove le tue strategie di marketing sono più efficaci, i parametri UTM possono aiutarti. Infatti, codificando i  link (cioè aggiungendo gli utm), puoi visualizzare su analytics il traffico che arriva sul sito dal canale email e da quale delle due campagne.

La stessa cosa se pubblichi dei link su Facebook diretti al tuo sito e vuoi inviare ad analytics delle informazioni specifiche. Codificando gli URL dei link puoi ad esempio distinguere il formato dell'annuncio o la tipologia di campagna (a pagamento o no).

Quando un utente fa clic su un link DIRETTO AL TUO SITO contenente i parametri utm, le informazioni in essi contenute vengono inviate ad Analytics e sono rese disponibili in appositi report.

È un errore aggiungere i parametri utm ai link interni al proprio sito diretti ad altre pagine del sito o esterne, così come non bisogna aggiungerli a link diretti ai social network o a siti referral.

Ecco gli step da seguire per impostare correttamente gli UTM

  1. Valutare se il caso specifico richiede l’aggiunta di parametri personalizzati
  2. Studiare attentamente i “Default channel grouping” di analytics e valutare se è necessario aggiungerne altri o modificarne le regole per rispecchiare la nostra realtà
  3. Aggiungere i parametri agli URL, essendo consapevoli di come i valori attribuiti ai parametri andranno a influire su altri report ed in particolare sui channel a cui viene attribuito il traffico.
  4. Nell’aggiunta dei parametri, seguire le best practices fornite da Google

Per una dettagliata spiegazione degli step da seguire scarica la guida gratuita sugli UTM.

Quali sono i parametri UTM?

Ci sono 5 parametri che puoi aggiungere ai tuoi URL:

  • utm_source: permette di identificare dove si trova il link. Ad esempio, utm_source=facebook.com se il link diretto al tuo sito si trova su facebook, utm_source=twitter.com se si trova su twitter, e così via. Fa eccezione l’email. In questo caso come valore si può inserire il provider.
  • utm_medium: per Google Analytics, il medium identifica la generale categoria di cui fa parte la fonte di traffico (source). Ad esempio può essere cpc, banner, referral. Il valore di utm_medium da noi impostato è bene che segua la medesima logica seguita da Google Analytics. Esempi di possibili utm_medium sono:
    social
    email
    banner
    cpc
    display
    affiliate
    referral - questo per analytics è il default medium se nient’altro è specificato e non si tratta di un social network presente nella lista di social network di analytics.

Nota: A seconda del valore assegnato a utm_source e utm_medium, il traffico derivante verrà attribuito a un default channel specifico, perciò è importante conoscere le regole utilizzate da Google Analytics e non inserire valori arbitrari a questi due campi. Inoltre, per non sporcare i dati presenti all'interno dei report, sarebbe meglio fare attenzione a come di default Analytics assegna i valori source e medium. Ad esempio, se un utente arriva tramite Facebook, all'interno del report source/medium vedremo come source "facebook.com". Se nella codifica dell'url, al parametro (source) assegnamo il valore "Facebook" disaggreghiamo i dati. Ovvero, nel report source medium invece che avere un'unica linea "facebook.com" ne avremo due distinte: "Facebook" e "facebook.com". Questo per le analisi è poco conveniente.

  • utm_campaign: permette di identificare il nome della campagna relativa al prodotto, il suo slogan oppure il suo codice promozionale.
  • utm_term: da utilizzare in caso di campagne a pagamento. Permette di identificare le parole chiave acquistate utilizzate per la ricerca.
  • utm_content: permette di distinguere contenuti simili o i link inseriti nello stesso annuncio. Ad esempio, se hai definito due link di invito all'azione nello stesso messaggio email, puoi utilizzare utm_content e assegnare loro valori diversi e identificare la versione più efficace.

Le best practice suggeriscono di inserire sempre utm_source, utm_medium e utm_campaign, mentre utm_term and utm_content sono considerati facoltativi.

In realtà l'unico parametro realmente obbligatorio è utm_source. Infatti se si omette il parametro (source) il tracking della campagna non funziona, mentre omettendone qualsiasi altro le informazioni inserite verranno comunque inviate ad analytics (se ad esempio non si inserisce il paramentro utm_campaign su analytics comparirà (not set)).

Conclusione

La possibilità di misurare l’efficacia e le performance delle campagne marketing è probabilmente la funzionalità più importante di google analytics.
Essere in grado di sapere cosa porta i visitatori sul tuo sito può avere un impatto eccezionale sul ROI del marketing digitale.
Aggiungendo i parametri UTM agli URL della pagina di destinazione della campagna, abiliti Google Analytics a registrare e differenziare le tue campagne.
Con il monitoraggio delle campagne in atto, è possibile distinguere le diverse campagne e confrontarle tra loro.
Facendo un ulteriore passo avanti, se monetizzi il tuo sito web, puoi differenziare le tue campagne di alto, medio e basso valore in base alla forza del loro coinvolgimento.

29 Agosto 2018

Cosa sono le sessioni in Google Analytics?

Oggi cercheremo di fare chiarezza su cosa sono le sessioni in Google Analytics. Utilizzando Analytics (magari in tandem con GTM) è infatti possibile raccogliere una grandissima quantità di dati, spesso senza capire le implicazioni più profonde di quello che si sta facendo.

Una sessione può essere definita come un gruppo di interazioni intraprese dallo stesso utente nell’arco di un dato lasso temporale. Di default, la durata di questo lasso temporale è di 30 minuti, ma come vedremo in seguito questo valore può essere modificato.

Cos’è una sessione in Analytics?

Come abbiamo già detto, una sessione è definibile come una serie di interazioni sullo stesso sito web compiute dallo stesso utente in un dato arco temporale.

Una sessione è quindi un contenitore arbitrario che raggruppa una serie di interazioni. In questo senso una sessione non è molto diversa da un giorno del calendario, definito arbitrariamente come l’intervallo di 24 ore da mezzanotte a mezzanotte.

Un singolo utente può quindi avviare più sessioni a distanza di mesi, ma anche più sessioni all’interno della stessa giornata. Cerchiamo di chiarire con un esempio:

Filippo è un grande appassionato di calcio, e ha l’abitudine di visitare il sito della Gazzetta dello Sport durante l’orario di lavoro. Ecco lo schema di una tipica giornata lavorativa di Filippo:

Ogni mattina Filippo arriva in ufficio alle 8, e come prima cosa apre la “gazza”. Dopo 20 minuti di lettura, lascia aperto in una tab del browser l’articolo con i pagelloni del fine settimana per leggerlo con calma dopo pranzo. Passati 30 minuti, GA interromperà questa prima sessione per inattività.

All’ora di pranzo (12:45) l’attività di lettura ricomincia, ma soltanto per 10 minuti. Anche in questo caso, l’ultima hit inviata da computer di Filippo ai server di Google sarà quella della visualizzazione dell’ultimo articolo. Dopo 30 minuti senza nuove hit, anche questa sessione verrà conclusa.

Prima di andare a dormire, poi, Filippo legge la Gazzetta per ben 40 minuti (dalle 23:50 alle 00:20). In questo caso verranno generate due sessioni: la prima dalle 23:50 a mezzanotte, la seconda da mezzanotte alle 00:20.

Questo succede perché una sessione può essere terminata in base a due metodi diversi:

  • Scadenza basata sul tempo
    • per inattività (default 30’)
    • a mezzanotte
  • Scadenza per cambio di campagna

La scadenza basata sul tempo

Di default, Google Analytics termina una sessione dopo 30 minuti di inattività. Questo significa che se un visitatore apre il tuo sito web, naviga per un po’, e poi si allontana per pranzo, al suo ritorno dopo più di 30 minuti verrà inizializzata una nuova sessione.

Ovviamente questo timeout di 30 minuti non è adatto a tutti i business. Pensa ad esempio ad un sito di streaming di serie TV: in media un utente guarderà video senza interagire con il computer per più di 30 minuti.

E’ quindi possibile modificare il timeout di default seguendo queste istruzioni:

  1. Naviga sulla property per cui vuoi modificare il tempo di timeout
  2. Clicca in basso a destra sulla rotellina “admin”
  3. Seleziona “impostazioni sessione” dal menu “tracking info”
  4. Modifica l’impostazione di default con il valore desiderato

L’altro evento che fa terminare una sessione è lo scadere della mezzanotte. La mezzanotte è definita in base al fuso orario dell’account, e questa impostazione non può essere modificata.

Questo significa che se un utente inizia a navigare sul tuo sito di ecommerce alle 23:57 e effettua una conversione alle 00:23, avrà generato due sessioni diverse: la prima della durata di 3 minuti e senza conversione, la seconda della durata di 23 minuti e con una conversione.

La scadenza per cambio di campagna

Ogni volta che un utente visita il tuo sito web da una campagna diversa, Analytics apre una nuova sessione. Come ricorda anche Google nella documentazione ufficiale, “È importante sottolineare che anche se una sessione esistente è ancora aperta (ad esempio, se sono trascorsi meno di 30 minuti) ma si cambia la sorgente della campagna, questa sessione viene chiusa e ne viene aperta una nuova.”

Per questo uno degli errori più gravi tra chi non conosce bene Google Analytics è utilizzare i parametri UTM all’interno del proprio sito: ogni volta che il visitatore cliccherà un link interno con parametri UTM verrà inizializzata una nuova sessione, e tutte le informazioni della sessione precedente andranno perse.

Come vengono create le sessioni da Analytics? (Roba da nerd)

Per comprendere a fondo la definizione di sessione e davvero cosa sono le sessioni su Google Analytics, è importante capire come i dati sono organizzati e raccolti all’interno di GA. Lo script di monitoraggio (o il tag all’interno di GTM) invia ai server di Google delle hit, ogni volta che un utente compie un’azione sul tuo sito web (ad esempio, visita una pagina, clicca un bottone, invia una richiesta di contatto…). Queste hit sono ordinate, filtrate e aggregate in base al clientID, il numerino che identifica in modo univoco una coppia dispositivo/browser.

Ricordiamo infatti che all’interno di Analytics gli utenti non sono vere persone, ma dei cookie salvati all’interno dei browser. Questo significa che se la stessa persona visita il tuo sito dal computer dell’ufficio e poi dallo smartphone agli occhi di Analytics sarà due persone diverse. Per chiarire il funzionamento di questo processo sfruttiamo l'immagine realizzata da Lunametrics:

La conseguenza di questo processo è che in Analytics esiste una precisa gerarchia delle informazioni: le singole hit non hanno un numero di sessione ad esse associate, perché la sessione è determinata a posteriori.

Per questo motivo non è possibile comparare all’interno dello stesso report hit e sessioni.

Conclusione

Per quanto possa sembrare semplice, il concetto di sessione porta con sé numerose implicazioni più profonde. E’ quindi importante padroneggiare questa definizione per non farsi ingannare dai numeri.

Sperando di averti chiarito sul cosa sono le sessioni in Google Analytics, ricordati che se hai qualsiasi domanda puoi contattarci senza problemi!

26 Luglio 2018

Come anonimizzare Google Analytics

Cosa imparerai in questo articolo

Oggi vedremo come anonimizzare l'indirizzo IP dei tuoi visitatori, in modo che questo dato personale non sia salvato all'interno di Google Analytics.

Il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR), ha infatti introdotto paletti molto più restrittivi sulle modalità di trattamento dei dati personali degli utenti. Uno dei passaggi fondamentali per rispettare il GDPR, se utilizzi Google Analytics (GA), è rendere anonimo l'indirizzo IP dei visitatori del tuo sito web.

Fortunatamente Google ha messo a disposizione un metodo relativamente semplice per risolvere questo problema. Prima di cominciare, è importante capire in che modo GA è installato sul sito web. Con buone probabilità, ti ritroverai in uno di questi 3 scenari:

  1. GA installato con libreria analytics.js
  2. GA installato con libreria gtag.js
  3. GA installato tramite Google Tag Manager (consigliato)

Se sai già in quale di questi 3 casi ti ritrovi, salta direttamente alla relativa sezione. Altrimenti ti consigliamo di utilizzare il plugin di Chrome Google Tag Assistant per scoprirlo.

Come anonimizzare gli IP se utilizzi analytics.js

Se GA è installato utilizzando analytics.js, all'interno del codice sorgente del tuo sito web sarà presente un codice simile a questo (dove al posto di UA-XXXXX-Y troverai l'id della tua property):

<!-- Google Analytics -->
<script>
(function(i,s,o,g,r,a,m){i['GoogleAnalyticsObject']=r;i[r]=i[r]||function(){
(i[r].q=i[r].q||[]).push(arguments)},i[r].l=1*new Date();a=s.createElement(o),
m=s.getElementsByTagName(o)[0];a.async=1;a.src=g;m.parentNode.insertBefore(a,m)
})(window,document,'script','https://www.google-analytics.com/analytics.js','ga');
ga('create', 'UA-XXXXX-Y', 'auto');
ga('send', 'pageview');
</script>
<!-- End Google Analytics -->

Per anonimizzare tutte le hit inviate a GA sarà sufficiente aggiungere ga('set', 'anonymizeIp', true); al codice qui sopra, che diventerà quindi:

<!-- Google Analytics -->
<script>
(function(i,s,o,g,r,a,m){i['GoogleAnalyticsObject']=r;i[r]=i[r]||function(){
(i[r].q=i[r].q||[]).push(arguments)},i[r].l=1*new Date();a=s.createElement(o),
m=s.getElementsByTagName(o)[0];a.async=1;a.src=g;m.parentNode.insertBefore(a,m)
})(window,document,'script','https://www.google-analytics.com/analytics.js','ga');
ga('create', 'UA-XXXXX-Y', 'auto');
ga('send', 'pageview');
ga('set', 'anonymizeIp', true);
</script>
<!-- End Google Analytics -->

Come anonimizzare gli IP se utilizzi gtag.js

Anche in questo caso sarà necessario modificare il codice che è stato inserito all'interno del tuo sito web, ma in questo caso non bisognerà aggiungere una riga di codice, bensì modificare una già esistente. Il codice gtag.js è fatto così:

<!-- Global site tag (gtag.js) - Google Analytics -->
<script async src="https://www.googletagmanager.com/gtag/js?id=UA-XXXXX-Y"></script>
<script>
window.dataLayer = window.dataLayer || [];
function gtag(){dataLayer.push(arguments);}
gtag('js', new Date());
gtag('config', 'UA-XXXXX-Y');
</script>

La riga che ci interessa è quella in grassetto (dove UA-XXXXX-Y è sostituito dall'id della tua property di Google Analytics). Per anonimizzare gli IP sarà sufficiente sostituirla con:

gtag('config', '<GA_TRACKING_ID>', { 'anonymize_ip': true });

Lasciando tutto il resto invariato.

Come anonimizzare gli IP se utilizzi Google Tag Manager (GTM)

Se il tag pageview di Google Analytics è inserito all'interno del tuo sito tramite Google Tag Manager, per rendere anonimi gli IP dei tuoi visitatori non dovrai modificare il codice del tuo sito web, ma sarà sufficiente utilizzare l'interfaccia di GTM. Questo è infatti uno dei dell'utilizzo di questo strumento (se ti interessa approfondire questo strumento, clicca qui per andare al nostro articolo che spiega come utilizzare Google Tag Manager) .

Vediamo come procedere.

Per prima cosa, entra all'interno del tuo account GTM e vai alla sezione variabili:

Seleziona la "User-defined variable" in cui sono salvate tutte le impostazioni di Google Analytics (queste impostazioni potrebbero essere anche salvate all'interno del tag pageview, anche se lo sconsigliamo):

Una volta aperta, clicca su "More settings" e poi "Fields to set". Inserisci 'anonymizeIp' come chiave e 'true' come valore:

Salva tutte le impostazioni, pubblica il container e il gioco è fatto! Di seguito trovi un breve video che illustra l'intero processo, dall'inizio alla fine:

Come Google Analytics anonimizza gli IP degli utenti

Se sei un animale da codice, probabilmente ti stai chiedendo come Google anonimizza gli IP degli utenti. Puoi trovare la spiegazione completa a questo link (documentazione ufficiale).

Per riassumere, le ultime cifre dell'indirizzo IP del visitatore sono impostate a 0, e l'indirizzo IP completo della persona non è mai salvato su disco:

Conclusione

Per rispettare la normativa GDPR è importante non raccogliere gli indirizzi IP dei propri visitatori (che sono considerati un dato personale). Fortunatamente Google ha messo a disposizione una soluzione relativamente facile per rispondere a questa necessità, che non comporta la perdita dei dati all'interno del proprio account.

L'unico problema che deriva dall'anonimizzazione degli indirizzi IP è che i filtri INCLUDI / ESCLUDI traffico che hanno come regola l'indirizzo IP smetteranno di funzionare. Per fortuna esiste un modo per aggirare questo problema, se ti interessa scoprirlo faccelo sapere nei commenti!

18 Luglio 2018

Come cambiare la lingua di Google Analytics

Se stai leggendo questo articolo significa che anche tu non sai più dove sbattere la testa per cambiare la lingua del tuo account di Google Analytics. Sei in buona compagnia: è difficile trovare questa impostazione all'interno dell'account! Come forse già saprai, non è infatti sufficiente modificare la lingua dell'account Google.

Prima di effettuare questa modifica (comunque reversibile) vogliamo fare una premessa importante: il nostro consiglio è di lavorare sempre con l'account impostato in lingua inglese. Questo per via di una semplice considerazione: sul web è disponibile molto più contenuto in inglese, quindi la tua vita sarà più semplice se lavorerai direttamente in questa lingua.

Vediamo quindi come cambiare la lingua del tuo account di Google Analytics.

  1. Apri il tuo account analytics
  2. Clicca sulla rotellina in basso a sinistra "Impostazioni"
  3. Nella scheda che si apre clicca sulla tab "Utente"
  4. Nella schermata che appare troverai la lingua per la selezione della lingua
  5. Seleziona la lingua desiderata, clicca sul bottone blu "salva modifiche" al fondo della pagina e fai un refresh di pagina

A questo punto la lingua di tutti i tuoi account sarà aggiornata. Questa modifica è reversibile in ogni momento, seguendo lo stesso processo. Per semplicità abbiamo anche realizzato un breve video-tutorial:

Adesso che hai modificato la lingua del tuo account è il momento di controllarne la configurazione. Leggi il nostro articolo su come installare, configurare e utilizzare correttamente Google Analytics.

Speriamo che questa piccola guida ti sia servita e sia stata utile per te!

Se vuoi diventare un vero esperto di analytics, scopri qui l'ultima versione!

17 Luglio 2018

Nuova funzione unisci i dati su Google Data Studio

Oggi approfondiremo una nuova funzionalità appena introdotta da Google all'interno di Data Studio: la funzione unisci dati.

Infatti, fino a poco tempo fa uno dei grandi svantaggi di questo strumento era la difficoltà di unire all'interno dello stesso grafico dati provenienti da fonti diverse. Prima dell'introduzione di questa novità era infatti necessario utilizzare un "ponte" come Google Sheets o Big Query.

Cos'è Google Data Studio?

Se non lo conosci già, facciamo un passo indietro. Data Studio è lo strumento gratuito di visualizzazione dati creato da Google, che permette di visualizzare dati provenienti da decine di fonti diverse: grazie all'introduzione dei community connectors, è infatti possibile attingere non solo ai dati di Analytics, Adwords e degli altri strumenti di casa Google, ma anche a fonti di dati esterne come Adroll, Facebook, Salesforce e molti altri. A questo link puoi trovare la lista aggiornata dei connettori disponibili.

Per darti un'idea della potenza di questo strumento, ecco una dashboard dimostrativa che abbiamo realizzato per un portale di  ecommerce:

Perché la funzione "unisci dati" può esserti utile

Prima di entrare nell'operatività facciamoci una domanda strategica. A cosa serve questo strumento?
Come al  solito, ricordiamo infatti che i dati devono essere il mezzo, non il fine! Abbiamo pensato a 3 esempi.

1. Vedere la performance della stessa campagna su canali diversi
2. Visualizzare il customer journey nella sua interezza
3. Studiare l'influenza di fattori esterni sulle vendite di un ecommerce

Prendiamo il terzo caso per illustrare il funzionamento di "unisci dati".

Unire i dati di Google Analytics con una fonte esterna, nello stesso grafico

Consideriamo il caso di un ecommerce che vende articoli per piscine, che voglia inserire all'interno della propria dashboard un grafico che illustri l'andamento della temperatura a Milano per confrontarlo con quello delle vendite del portale.

Ovviamente, il dato sulla temperatura media a Milano non è presente all'interno di Google Analytics: ci tornerà quindi molto utile la nuova funzione unisci dati di Google Data Studio. Ecco come procedere.

Per prima cosa, colleghiamo le due fonti di dati a Data Studio: l'account di Analytics e il foglio Sheets nel quale in questo caso abbiamo salvato i dati della temperatura di Milano nel mese di giugno 2018.

Creiamo quindi il grafico della tipologia serie temporale per visualizzare l'andamento delle vendite del nostro sito web. Selezioniamo la corretta fonte di dati (in particolare, la view di Google Analytics che ci interessa) - come dimensione la data e come metrica il fatturato. Se non ti è chiara la differenza tra metriche e dimensioni ti consigliamo di leggere questo nostro articolo.

A questo punto, clicca sul bottone blu unisci dati che si trova sotto alla fonte di dati del grafico appena disegnato:

Data Studio ti chiederà di aggiungere la nuova fonte di dati da unire a quella originale, cioè il foglio google contenente i dati della temperatura media.

Per poter essere aggiunta, la nuova origine dati deve prima essere presente nell'elenco delle fonti di dati disponibili. Per farlo clicca su "Risorsa" nel menu in alto e poi su "Gestisci origini dati aggiunte". Infine, aggiungi lo spreadsheet con i dati delle temperature cliccando su "Aggiungi origine dati" e selezionando il file.

Il foglio google è ora disponibile e puoi unirlo alla fonte di dati originale.

Come ultima cosa devi selezionare la chiave di unione. La chiave di unione è una dimensione che deve essere presente in entrambi i dataset e che permette di connetterli. Nel nostro caso la chiave è la dimensione "Data": per ogni giorno vogliamo vedere due metriche - appartenenti a origini dati diverse - le sessioni e la temperatura media. Il foglio google dovrà quindi contenere questa dimensione, altrimenti l'unione non è fattibile.

Seleziona quindi la dimensione "Data" come chiave di unione e trascina la metrica "temperatura" nello spazio dedicato a ulteriori dimensioni e metriche. Una volta configurato tutto correttamente, clicca su salva.

Sarà ora possibile aggiungere le metriche appartenenti alle due origini dati allo stesso grafico:

Conclusioni

Speriamo di averti chiarito su che cosa rappresenti la funzione unisci i dati su Google Data Studio.

Grazie a questa nuova funzionalità ovviamente Data Studio è diventato più flessibile. La semplicità del suo utilizzo e il crescente aumento di flessibilità lo rendono uno strumento sempre più potente, di cui vale la pena approfondire la conoscenza. I casi di utilizzo sono davvero molti e provando a costruire report personalizzati ve ne renderete subito conto.

Se avete domande, non esitate a contattarci, saremo contenti di aiutarvi.

17 Luglio 2018

Dimensioni e metriche in Google Analytics

Cosa imparerai in questo articolo

In questo breve articolo cercheremo di chiarire la differenza tra dimensioni e metriche all'interno di Google Analytics (GA). Queste sono le componenti fondamentali del tuo account di GA, ed è quindi importante capirle a fondo.

Nel momento in cui scriviamo esistono più di 400 metriche e dimensioni standard all'interno di Google Analytics. Conoscerle tutte è davvero un'impresa: per questo potrebbe tornarti utile lo strumento "Dimensions & Metrics explorer" messo a disposizione da Google che puoi trovare a questo link.

Le dimensioni descrivono il dato

In qualsiasi report di Google Analytics, le dimensioni sono le righe, le etichette della tabella. La funzione delle dimensioni è descrivere il cosa, rispondere a domande come "quale pagina è stata visualizzata?" "quale prodotto è stato venduto?" e così via.

Le metriche misurano il dato

Le metriche sono i numeri attribuiti ad ogni dimensioni. Pensa alle metriche come il quanto, che rispondono a domande come "quanti visitatori?" "quanto fatturato?".

Un esempio pratico

Per chiarire questa distinzione, prendiamo il report di Google Analytics che illustra le pagine più visitate (Comportamento > contenuti del sito > Tutte le pagine). Come vedi, le dimensioni sono le righe della nostra tabella, e le metriche le colonne. La stessa dimensione può avere più metriche associate.

Conclusioni

Con questo breve articolo speriamo di averti chiarito su che cosa sono dimensioni e metriche in google analytics.

É davvero importante capirne le definizioni e le differenze perché sono la base dell'analisi.

Sperando di essere stati chiari, se hai qualsiasi domanda, non esitare a conttattarci!

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