4 Febbraio 2022

5 modi per ottimizzare la Customer Experience (e conoscere i tuoi utenti)

Customer Experience, User Experience, Ottimizzazione, SEO, SEM, Digital Analytics...
Il mondo del digitale è pieno di termini che a volte possono mandare in confusione chi non è addetto ai lavori.

L'importante è tenere a mente la stella polare della questione: le persone.
Ottimizzare la customer experience del tuo sito significa prima di tutto conoscere i tuoi clienti.

Qual è la base della Customer Experience? Non puoi ottimizzare l'esperienza per qualcuno che non conosci

Abbiamo ormai superato da qualche settimana la temutissima crisi del regalo di Natale compulsivo...
Ma ti sei mai chiestə perché il 24 di dicembre non avevi ancora idea di cosa comprare al collega del team al piano di sopra o alla prozia di Forlì? Perché, con loro, non ci parli poi così spesso.

Se lo avessi fatto, avresti scoperto che la zia si sta annoiando a stare isolata in casa e che le piacerebbe un puzzle. Il tuo collega, invece, è recentemente diventato "green" e gradirebbe molto un kit da bagno in bamboo.

La stessa cosa accade con il tuo sito o il tuo e-commerce: non puoi ottimizzare qualcosa per qualcuno che non conosci.

In Digital Pills crediamo profondamente nei dati e nell'analisi quantitativa, ma anche nella user research, ossia l'analisi qualitativa.

Così come per il Natale, il miglior regalo per il tuo utente è un'esperienza cucita su di lui (o lei).

Quali sono le best practice per ottimizzare le Customer Experience?

Oggi vogliamo condividere con te qualche idea per per iniziare a ottimizzare la tua customer experience.

#1. Parlare - Le interviste

Sembrerà banale, ma riprendiamo quanto detto sopra: prendi una manciata di tuoi clienti (o potenziali clienti) e parla con loro. Per non rischiare di finire fuori traccia, preparati una lista di domande che vuoi fare.

Cerca di ottenere informazioni sulle loro preferenze, idee, opinioni o abitudini. Se sei alla prime armi con le interviste, ti verrà spontaneo parlare principalmente del tuo sito: ti consigliamo invece di partire da un approccio più esplorativo.

Se ad esempio hai un e-commerce di abbigliamento, tieni presente che questo è solo uno dei canali a disposizione del tuo cliente. Ci sono gli altri e-commerce, i negozi fisici, servizi per scambiarsi indumenti di seconda mano e così via.

In questo caso alcune delle cose che potresti indagare sono:

  • dove preferisce acquistare (e perché),
  • quali caratteristiche vorrebbe che avessero gli abiti che cerca (e perché),
  • se di solito ha in mente qualcosa di molto preciso o se si orienta man mano (e perché)
  • se ci sono casi in cui non compra, pur avendo trovato l'abito dei suoi sogni (e perché).


Potresti aver notato una leggera ripetizione della parola perché: è la chiave di tutto, chiedilo più e più volte, sia quando le risposte ti spiazzeranno, ma soprattutto quando saranno scontate. Scoprirai che spesso la motivazione è diversa da quello che pensavi, e cambia da persona a persona.

#2. Guardare - Le osservazioni

Facciamo un esperimento: prova a descrivere cosa fai la mattina quando prendi il caffè, ti diamo 1 minuto.

....

....

Ci stai pensando?

....

....



Se lo hai fatto, potrebbe essere uscito qualcosa di questo tipo:

  • Mi avvicino alla macchinetta
  • Inserisco la capsula
  • Avvio la macchinetta
  • Bevo il caffè

Per esperienza personale (abbiamo fatto davvero questo esperimento in Digital Pills) possiamo dirti che hai omesso tantissime informazioni inconsapevolmente: per esempio il tipo di tazzina che scegli, il posto in cui lo bevi, se parli con qualcuno o te lo gusti da solə, se di fretta o con calma.


Condividiamo questo piccolo esperimento per dimostrarti che, se parlare con le persone è sorprendente, osservarle completa e arricchisce il quadro: raramente i tuoi clienti fanno esattamente ciò che dicono, perché è nella natura umana.

Osservarli mentre utilizzano il tuo sito (in una situazione reale, non sotto tua richiesta) o guardare come si muovono tra le pagine e dove si soffermano potrebbe sfatare miti come "i miei utenti entrano nel catalogo, aggiungono l'articolo al carrello e fanno il check out".

Tutte le informazioni ricavate dall'osservazione ti saranno utili per ottimizzare la customer experience, sulla base della vera interazione dei tuoi clienti con il sito. Provare per credere.

#3. Scrivere - Diary study

Non tutti i casi o i siti si prestano all'intervista o all'osservazione. Per esempio, se il tuo prodotto o servizio viene utilizzato giornalmente o ripetitivamente - come giochi online, intranet aziendali o software per il lavoro - oppure se è qualcosa di davvero privato, come un'app per riprodurre musica sotto la doccia.

Quando si presenta la giusta occasione o il giusto contesto, puoi chiedere ai tuoi clienti (o potenziali clienti) di tenere un diario. L'obiettivo è che vi appuntino osservazioni, pensieri e frustrazioni ogni qual volta affrontano lo stesso processo, come intrattenersi nel caso del gioco.

Il Diary study richiede pazienza e qualche settimana, ma può garantirti dati estremamente attendibili e molto preziosi, vista la difficoltà nel reperirli.

Immagine gratuita di agenda, alunno, anonimo

#4. Testare - User testing

Altro termine che forse hai già sentito. Lo user testing consiste nel testare una parte del tuo prodotto, vera o progettata (ad esempio il tuo sito live o un prototipo di come dovrà essere), con 5 tuoi potenziali clienti.

Dovrai prefissarti un obiettivo ben preciso, e prevedere dei task da assegnare all'utente durante il test (e.g. Trova articolo X e aggiungilo al carrello). Il percorso a step che preparerai ti aiuterà a individuare punti di miglioramento o verificare ipotesi prima di spendere tempo e soldi per realizzarle.

A questo punto potresti chiederti cosa c'è di diverso dall'osservare.
La stessa differenza che c'è tra osservare un animale libero nel suo habitat e chiedergli di eseguire un comando. Nel primo caso, puoi osservarlo per capire qualcosa in più su di lui e su come funziona. Nel secondo otterrai informazioni sull'interazione con te: se sei bravo ad utilizzarle, capirai come interagire meglio con lui.

#5. Chiedere - Digital Pills

Potremmo sembrare monotoni, ci prendiamo questo rischio; rivolgerti a un'agenzia per conoscere meglio i tuoi clienti e ottimizzare la customer experience potrebbe essere una buona idea.

Noi ti consigliamo sempre prima di provare: crediamo nello sporcarsi le mani, e siamo sicuri che i primi 4 suggerimenti da soli rivoluzioneranno il tuo modo di vedere i clienti, e di conseguenza la customer experience del tuo prodotto.

Tuttavia per amore di completezza dell'informazione, dobbiamo anche riportarti le fatiche di questo lavoro:

  • Reperire gli utenti per interviste, osservazioni, diary studies e test potrebbe non essere così semplice come sembra.
  • Il rischio di invalidare le tue ricerche è dietro l'angolo: le domande vanno poste nel modo giusto e gli utenti istruiti e messi a loro agio, per evitare che i tuoi studi siano pieni di bias e che ti basi su informazioni non oggettive per mettere in atto modifiche al tuo prodotto. Il caso più comune di bias è suggerire la risposta nella domanda.
  • Sintetizzare i dati è un lavoro a sé: queste 4 metodologie di user research ti permetteranno di raccogliere una grande mole di dati. Vanno poi interpretati, capiti, selezionati: non tutto è davvero rilevante per ottimizzare l'esperienza dei clienti

Se stai cercando un buon alleato per migliorare la customer experience digitale, noi siamo i partner di riferimento per aziende che ci scelgono da ormai 5 anni.

Qui sotto trovi i link ad alcuni casi studio pubblicati sul nostro sito:

Hai domande, dubbi o commenti? Scrivici a hello@digitalpills.it, saremo felici di ascoltarti!

27 Gennaio 2022

Google Analytics è illegale?

In breve: che cosa è successo in Austria e che cosa dobbiamo fare

Una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto la possibilità di proibire il trasferimento di dati verso altri Paesi, se non presenti le condizioni per garantire il rispetto del GDPR. 

Questo potrebbe compromettere l’utilizzo di Google Analytics i cui dati sono trasferiti a Google LLC, negli Stati Uniti, poiché il modo in cui questi dati vengono utilizzati in USA potrebbero non essere conformi alle normative europee.

Google però non è stata ritenuta colpevole di alcuna violazione a differenza dei gestori del sito web, rei di aver permesso il trasferimento di dati identificativi quali indirizzi IP e identificativi utenti.

Al di là dei futuri interventi che Google credibilmente metterà in campo per ridimensionare il problema, è sufficiente anonimizzare le PII e gli indirizzi IP lato client o implementando un tracking server side per ridurre il rischio di trattamento inadeguato e trasferimento di dati personali.

Privacy online: contesto e tendenze

All’interno di un contesto internazionale pieno di stravolgimenti relativi a rispetto della privacy online e sovranità dei dati, la sentenza Schrems II ha segnato un punto di svolta nella sfera del trattamento dei dati degli utenti.

La Schrems II è una sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha riconosciuto la possibilità di interrompere o proibire il trasferimento dei dati verso stati terzi (in particolare USA) se non presenti e garantite le condizioni per rispettare gli standard di protezione dei dati.

La domanda alla base della sentenza può essere riassunta così: se i dati raccolti e storati in Europa sono obbligatoriamente gestiti secondo le normative del GDPR, cosa succede ai dati raccolti in Europa ma trasferiti all’estero, in Paesi in cui vige una legislazione diversa e potenzialmente incompatibile con quella europea?

La domanda acquista rilevanza se riferita agli USA in cui gli enti governativi hanno accesso ai dati delle società americane.

Questa sentenza sembrerebbe avere ripercussioni dirette su Google Analytics, i cui dati raccolti vengono trasferiti presso la Google LLC, negli Stati Uniti, indipendentemente dal Paese in cui vengono raccolti.

La Schrems II non ha però riconosciuto alcuna responsabilità a Google, rendendo chiaro come non sia corretto affermare che Google Analytics sia illegale in Austria o in qualsiasi altro Paese d’Europa

A essere colpita dalla sentenza è stato invece il provider del sito, reo di aver permesso il trasferimento di dati personali, compresi identificativi utente, indirizzi IP e parametri del browser a Google LLC, rendendo gli utenti identificabili.

Cosa succederà e come possiamo agire?

Come si stanno muovendo quindi gli attori in gioco e come possiamo muoverci noi per tutelarci da violazioni del GDPR?

Google ha già recentemente affermato di voler iniziare a muovere i primi passi verso una conservazione dei dati all’interno del territorio in cui vengono raccolti, per essere sicuri di non creare violazioni e contrasti con le leggi vigenti nel Paese.

Noi abbiamo la possibilità di ridurre il trattamento dei dati personali non adeguati semplicemente utilizzando tecniche di anonimizzazione dei dati legati a indirizzi IP, nomi, email, numeri di telefono o qualsiasi altra informazione che possa ricondurre a un singolo individuo.

Praticamente le armi a nostra disposizione sono:

  • Anonimizzazione delle PII all’interno degli URL o di parametri raccolti attraverso javaScript lato client o implementando GTM Server Side
  • Anonimizzazione degli indirizzi IP tramite anonimizzazione standard (che Google assicura essere efficace solo dopo che i dati sono giunti al server locale più vicino) o tramite implementazione di GTM Server Side sicura al 100%

Nessun bisogno quindi di cambiare Data Stack. Google Analytics, per performance e potenzialità, rimane il tool di riferimento per il mondo degli analytics.

25 Gennaio 2022

Dati come asset aziendale

Le aziende, oggi più che mai, possiedono la capacità di produrre e raccogliere dati di ogni genere in quantità molto elevate, ma non la mentalità di interpretare i dati come asset aziendale. 

In troppi casi la crescente mole di dati raccolti e gestiti dalle aziende viene unicamente etichettata come un costo, in termini di risorse e tecnologie, necessari a farne uso. Questo modello rischia però di rendere molte realtà non competitive con un mercato sempre più data-driven.

In questo contesto, nasce la necessità di considerare sempre più i dati non come “prodotto” ma come “asset” aziendale. Così facendo, non saranno più un risultato dell’azione di un business, ma veri e propri driver per il raggiungimento degli obiettivi.

Oggi parliamo di come questo sia possibile mutando visione sul mondo dei dati ed elaborando una Data Strategy allineata ai bisogni aziendali.

Executive summary

  • Le aziende hanno un capacità sempre maggiore di raccogliere dati, ma devono affrontare la necessità di saperli gestire ed elaborare, in particolare per l’ambito digitale. Un utilizzo dei dati come asset aziendali permette di migliorare la customer experience, allocare meglio il budget ad iniziative e risparmiare in termini di costi e risorse.
  • Gli attuali sviluppi del mondo digitale rendono fondamentale agire rapidamente per non perdere il proprio vantaggio competitivo sul mercato. Sono molte le attività che possono essere intraprese (dati di prima parte, data lake, ML), ma tutti devono rispondere ad una chiara strategia per essere realmente efficaci.
  • Definire una Data Strategy è un processo che coinvolge l’intera azienda, permettendo di individuare ed implementare soluzioni che rendano i dati non un costo ma uno strumento per raggiungere gli obiettivi aziendali. Attuarla significa sviluppare una visione olistica aziendale che sia veramente data-driven.
  • Per questo processo sono necessarie sia nuove tecnologie che competenze multidisciplinari. Riuscire a mescolare le due in un processo di trasformazione aziendale è la soluzioni per rendere la propria azienda realmente innovativa e con un diffusa cultura dei dati.

Non tutti i dati sono uguali

Un errore comune nell’utilizzo dei dati da parte delle aziende è l’errata attribuzione di valore all’informazione. Questo comportamento può portare a prendere decisioni e creare features che non incontrino la soddisfazione dei clienti finali, non portando così benefici all’azienda.

E’ questo il caso di Netflix e della funzione “La mia lista”, così come ci racconta il libro "Everybody Lies".

Chi utilizza spesso la piattaforma avrà familiarità con questa features, che permette appunto di creare una collezione di titoli di interesse da vedere in seguito. Ad una prima occhiata, questo sembrerebbe un’incredibile fonte di informazioni per ottimizzare l’offerta video.

In realtà, i dati che ci fornisce questa feature, presi singolarmente, offrono una visione falsata dell’uso che gli utenti fanno della piattaforma.

Molti di noi infatti salvano per dopo contenuti impegnativi, magari culturali o documentaristici, convinti che la loro visione ci renderebbe migliori.

Ma alla prova dei fatti, andando a vedere quali contenuti vediamo regolarmente sulla piattaforma, la lista sarà ben diversa. È molto più facile che si tratterà di contenuti di intrattenimento, comici o comunque meno “impegnativi”.

Questo scostamento non sarebbe osservabile solamente osservando i dati della feature “La mia lista”, ma emerge molto più chiaramente quando diversi dati vengono messi in relazione tra essi e pesati secondo l’impatto che generano sull’uso del prodotto.

Questo semplice esempio dimostra una cosa importante: avere dati a disposizione è fondamentale, ma per prendere decisioni davvero efficaci è necessario saper mettere in relazione diversi dati e comprenderne il valore rispetto al raggiungimento degli obiettivi aziendali. In altre parole, non basta avere i dati, occorre avere una strategia che individui come tali dati possono aiutare l’azienda.

Come i dati possono aiutare le aziende

Se è ormai assodato che raccogliere dati è una parte integrante dell’attività aziendale, spesso non è ben chiaro o definito in quali modi i dati raccolti possano realmente aiutare le aziende.

Questo è un filone di indagine piuttosto ampio con caratteristiche uniche da azienda ad azienda. Per questo articolo abbiamo voluto riportare 3 vantaggi che può portare l’uso di dati ad una azienda con focus sugli aspetti digitali.

1. Customer experience

Avere un buon prodotto non è un vantaggio ma una aspettativa comune. Ciò che è diventato un vero tratto distintivo delle aziende di successo è l’esperienza utente che sono in grado di offrire.

Parlare di Customer Experience (CX) significa studiare ed ottimizzare tutte le interazioni che un cliente ha con i propri servizi. Questo si traduce nel comprendere i bisogni dei clienti e poter offrire loro le modalità migliori per usufruirne - attività questa che richiede una elevata mole di dati.

Se usati sapientemente, questi dati possono permettere importanti vantaggi:

  • un sito che incontra i gusti e i pattern di utilizzo dei visitatori si traduce in un aumento dei lead e delle conversioni
  • offrire un’esperienza di acquisto migliore è fortemente collegata ad un aumento delle vendite
  • prodotti digitali che sanno ingaggiare i clienti e rispondano ad una reale necessità portano ad un miglioramento di metriche di engagement e retention

2. Allocazione budget

Sapere dove investire e quanto è una delle attività fondamentali per la crescita di una azienda. In questo senso, saper trovare evidenze nei dati rappresenta uno dei migliori strumenti decisionali.

Un esempio concreto è l’allocazione del budget per le iniziative marketing. Creare un sistema di raccolta ed elaborazione dati che individui i canali più performanti e quelli con più alta potenzialità di crescita è fondamentale. 

Questo non vuol dire solo sapere dove investire di più per ottenere risultati migliori. Saper far leva sui dati significa, a parità di investimento, riuscire ad ottenere migliori risultati nelle proprie iniziative. 

3. Ottimizzazione risorse

Ultimo ma non meno importante, un buon utilizzo dei dati consente di prendere decisioni che ottimizzino l’uso di risorse aziendali.

Se si tratta di prendere decisioni su risorse produttive, avere dati che forniscono un quadro dettagliato delle performance e colleghino direttamente i fattori produttivi ai risultati aziendali significa poter stimare a monte l’impatto di future decisioni. 

Se si considerano i dati non come costo ma come asset, investire nella loro corretta gestione ed elaborazione permette di ottenere vantaggi notevoli in termini di tempi e costi risparmiati.

Agire adesso sui dati è fondamentale

Dopo questo elenco (non esaustivo) di quali vantaggi i dati possono portare in azienda, sarà forse sorta una domanda: “Quando è il momento giusto per agire sui dati?”.

La risposta più giusta è “Ieri”. La seconda migliore risposta è “Adesso”.

Al di là della retorica, l’economia sta cambiando e il digitale sta evolvendo ancora più rapidamente di prima.

Sono molte le tendenze che potremmo elencare per supportare questa tesi, ma ne riportiamo solo tre perché sono tra le più rilevanti per aziende che operano in ambito digitale.

1. Cookie, privacy e dati degli utenti

I cookie di terze parti stanno scomparendo. Questa realtà significa, per moltissimi servizi digitali, un'importante perdita di dati su cui si basano.

Il mondo del digital advertising ad esempio è fortemente legato a questo strumento. Così come tecnologie che permettono di ricavare informazioni demografiche e di comportamento sugli utenti.

Insomma, il mondo digitale sta progredendo verso un mondo dove saranno facilmente reperibili meno dati sui propri utenti, con maggiori attenzioni per il trattamento dei dati e la privacy. 

Le aziende che vogliono continuare a muoversi nel digitale devono agire già da ora, per limitare l’impatto negativo che questi sviluppi possono avere sulla propria capacità di basarsi su dati affidabili.

2. La digitalizzazione come vantaggio competitivo

Il mondo sta diventando sempre più digitalizzato, ad un ritmo e con una complessità molto più elevata di prima. 

E’ stato dimostrato da recenti studi che dall'inizio della pandemia, a inizio 2020, in pochi mesi molte aziende e settori hanno visto un’accelerazione della digitalizzazione delle interazioni coi clienti e dei processi interni di 3 o 4 anni.

In questo contesto, restare indietro nello sviluppo tecnologico significa cedere un vantaggio competitivo di valore strategico sul mercato. Andando avanti, si creerà un divario sempre maggiore tra aziende che investiranno nella propria digitalizzazione ed aziende che diventeranno obsolete e non competitive.

3. Il Customer Journey non è più lineare

Con l’aumento dei canali digitali e una loro sempre più capillare adozione, i punti di contatto tra aziende ed utenti si sono moltiplicati esponenzialmente.

Ad oggi un utente può entrare in contatto con un brand da canali media, piattaforme social, motori di ricerca, oltre a tutte le esperienze ibride cosiddette phygital. Questo porta ad una considerazione: il modello lineare del Customer Journey non è più realistico.

Gli utenti si trovano ormai coinvolti in un messy middle, in cui i contatti con l’azienda non seguono logiche lineari o dirette. Per le aziende questo significa una crescente difficoltà nel tracciare ed analizzare i touchpoint dei clienti con il proprio brand.

Touchpoint sempre più capillari e diversi tra loro generano per l’azienda grandi quantità di dati, che senza gli strumenti e la tecnologia giusti possono risultare ingestibili o poco azionabili.

Soluzioni per un mondo in evoluzione

Come questi tre trend hanno evidenziato, il mondo è in continuo mutamento e il digitale è uno degli ambiti che sta evolvendo maggiormente. 

Le evoluzioni rappresentano sicuramente una sfida per tutte le aziende di ogni settore, ma aprono anche nuove opportunità di sviluppo e crescita. Per potersi muovere in questo contesto liquido, occorre prendere decisioni basate su dati affidabili e rilevanti.

Occorre per questo investire nei dati, ampliando la capacità di raccoglierli, di elaborarli e di renderli azionabili.

Per citare solo alcune azioni possibili:

  • Passare a soluzioni di raccolta dati di prima parte
  • Mettere in relazione ed integrare dati da diverse fonti
  • Implementare soluzioni di immagazzinamento dati avanzate come Data Lake
  • Applicare modelli di Machine Learning per generare insight da grandi moli di dati
  • Adottare rappresentazioni del dato che siano chiare ed azionabili

Queste sono attività che ogni azienda può intraprendere, ma prese singolarmente il loro effetto è limitato e spesso insufficiente. Per questa ragione, il vero punto da cui partire è la definizione di una strategia dei dati, la vera base di partenza per rendere i dati un asset aziendale.

Data Strategy

Parlare di Data Strategy è fondamentale per capire come i dati possano generare valore concreto per le aziende. Abbiamo parlato più approfonditamente di cosa sia la Data Strategy, ma per farne un’estrema sintesi potremmo dare questa definizione:

Processo basato sulla strategia che risponde ai bisogni aziendali e che permette di trasformare i dati in asset, creando nuove opportunità di crescita e abilitando un management data-driven.

Si tratta quindi di un processo, a livello aziendale, che permette di trasformare i dati da una voce di costo ad una voce di profitto, attuando investimenti in tecnologie e competenze che generino un impatto concreto e quantificabile sull’intera azienda.

I benefici ed elementi chiave della Data Strategy

Elaborare una strategia dei dati che risponda ai bisogni aziendali porta diversi benefici a chi la intraprende:

  • Permette di identificare e tenere sotto controllo i KPI chiave del business, offrendo così una visione d’insieme sempre aggiornata dei processi chiave
  • Permette di ottenere dati affidabili, facili da leggere e azionabili, rendendo più semplice prendere decisioni basate su dati e stimarne gli impatti a priori
  • Introdurre ed essere promotori di una crescita data-driven in azienda, promuovendo un ambiente di lavoro focalizzato su innovazione e continuous improvement

Per ottenere questi benefici occorre spesso smontare preconcetti sull’utilizzo dei dati in azienda. Troppo spesso, le aziende sviluppano iniziative digitali senza pensare a come queste contribuiscono a raggiungere gli obiettivi di business.

Per assicurarsi che gli obiettivi di business incontrino i reali bisogni degli utenti, occorre che le aziende si concentrino su un elemento fondamentale: la loro North Star Metric.

North Star Metric

Una metrica North Star è la misura più predittiva del successo a lungo termine di un'azienda. Si tratta non di una metrica unica, ma ogni azienda deve individuare e tracciare la propria metrica, in base alle proprie necessità di business.

Scegliere la propria North Star Metric è un argomento complesso, nel quale può essere utile osservare esempi di altre aziende. Qui abbiamo riportato un elenco di North Star Metric di alcune aziende

Fonte: Choosing Your North Star Metric

Per qualificarsi come "North Star", una metrica deve: 

  • Portare a ricavi
  • Riflettere il valore del cliente 
  • Misurare i progressi

Se una metrica raggiunge questi tre punti, e ogni reparto contribuisce a migliorarlo, l'azienda crescerà in modo sostenibile.

Product Input Metrics

Una North Star Metric è suddivisa in metriche più piccole e molte di queste sono di responsabilità di team specifici e sono actionable, in modo che le persone all’interno dell’azienda possono vedere la connessione tra quello che fanno quotidianamente e la NSM. 

Ci sono due livelli di metriche:

  • Level 1: contribuiscono direttamente alla metrica di messa a fuoco o fungono da controllo per assicurarsi che l’azienda stia crescendo in una direzione sana.
  • Level 2: più specifiche, pilotano e guidano le L1 e la NSM

Output: Driver Tree

Una volta definito in cosa consiste la Data Strategy e forniti alcuni esempi di metriche da considerare, può essere interessante portare un esempio di output di questo processo. 

Uno dei risultati più concreto ed immediato di questo processo è sicuramente il Driver Tree.

Un Driver Tree è una mappa di come diverse metriche in un'organizzazione si adattano insieme. Il suo obiettivo è quello di supportare la crescita e focalizzare i team su come potrebbero contribuire al successo del business.

I benefici che questo output porta ad ogni azienda sono molteplici:

1. Migliora la comprensione

Consente di semplificare e riprodurre alcune delle complessità del business per aiutare tutti a capire come elementi e team si incastrano insieme.

2. Favorisce l’allineamento

Permette di avere un punto di partenza comune nelle discussioni aziendali, che colleghi le diverse funzioni e mostri le relazioni tra attività diverse.

3. Dà focus

Aiuta a scoprire e sfruttare potenziali aree opportunità e agisce come una guida per la strategia del business.

Un punto di valore del Driver Tree è la capacità di rivolgersi ed adattarsi a diversi stakeholders ed ambiti, quali: Marketing; E-commerce; Product; Business.

Per capire in che modo diverse metriche tra loro collegate forniscano un quadro chiaro dello stato di un business, è utile riportare un modello di Driver Tree

Fonte: Mixpanel

Conclusione

I dati a disposizione sono ogni giorno in aumento, ma le modalità con cui raccoglierli ed elaborarli sono in continua evoluzione.

Le aziende che desiderano mantenere un vantaggio competitivo sul mercato si troveranno sempre più di fronte alla necessità di saper usare i dati in maniera avanzata. Occorre che i dati non siano visti come un costo, ma sempre più come un asset.

Perché questo accada, occorre dotarsi non solo di tecnologie e competenze specifiche, ma bisogna intraprendere un processo, che coinvolga l’intera azienda, in cui definire ed intraprendere una strategia dei dati allineata ai bisogni aziendali.

Compiere questa trasformazione rapidamente è sempre più un elemento di distinzione fra aziende in ogni settore, e offre diversi benefici ed opportunità a chi saprà cogliere.

In Digital Pills ci occupiamo di sviluppare ed implementare soluzioni innovative per la gestione dei dati per aziende partner. Se la tua azienda vuole raggiungere i propri obiettivi facendosi guidare dai dati, contattaci per parlare di cosa possiamo costruire assieme.

12 Gennaio 2022

Product Analytics e Mixpanel: come ottimizzare il prodotto digitale

Noi tutti come utenti abbiamo aspettative sempre più alte in termini di qualità dei prodotti, di features disponibili e di facilità d’uso. Ma come fanno aziende e creatori di prodotti digitali ad essere sicuri di stare fornendo la migliore esperienza possibile ai propri utenti?

Una risposta sicuramente valida è guardare ai dati:

  • Quanto revenue ha generato il mio prodotto in un determinato periodo?
  • Quanti utenti si sono iscritti?
  • Quale contenuto è più visto?

Tutte domande importanti in ottica business, ma che non riflettono pienamente se un prodotto digitale ha successo oppure no. Non permettono insomma di capire se il proprio prodotto genera valore per gli utenti che lo usano.

Rispondere a questa domande e a tutte quelle che sottintende è l’obiettivo della Product Analytics. Si tratta di una branca del mondo analitico che ha l'obiettivo di analizzare come i clienti interagiscono con prodotti e servizi, identificando opportunità che portino benefici all’intero business. Per fare questo occorre fare uso di alcuni framework e tool specifici.

In questo articolo parleremo di cosa significhi fare Product Analytics e dei benefici che può portare alle aziende. Infine, introdurremo Mixpanel, un tool specifico per la Product Analytics leader del mercato e di cui Digital Pills é primo e unico partner in Italia.

Cosa significa fare Product Analytics?

Il mondo degli Analytics è molto vasto e racchiude al suo interno diverse categorie in cui si declina. La Product Analytics è sicuramente una delle più importanti e di valore per chiunque crei o sviluppi prodotti digitali in cui gli utenti possano interagire.

Per capire meglio in che modo questa branca si distingua dalle altre, è utile partire da due definizioni, diverse ma non in contrasto tra di loro.

Definizione per tutti

"La Product Analytics è il processo usato per comprendere come i clienti interagiscono con prodotti o servizi digitali. Si tratta di un framework per mettere i clienti al centro del business, analizzandone i dati comportamentali, identificando opportunità di alto valore e creando per essi esperienze d’impatto."

-- Amplitude - Guide to Product Analytics

Questa prima definizione di Amplitude ci permette di capire che la Product Analytics si poggia su 3 pilastri fondamentali: clienti, prodotti, business. 

Si chiarisce inoltre che la Product Analytics è un framework, ovvero un processo essenziale per mettere in relazione questi tre pilastri, ricavandone informazioni utili per generare benefici all’intera azienda.

Nella seconda frase è inoltre possibile capire quali sono gli input e gli output di questo framework: raccoglie dati comportamentali dei clienti, dai quali emergano opportunità di miglioramento che aiutino a creare esperienze migliori per i clienti stessi. 

Per riassumere, la Product Analytics è un approccio analitico che pone al centro dell’analisi il cliente e le sue interazioni con il prodotto, al fine di migliorare continuamente la sua esperienza con esso e spingerlo a usarlo di più, portando benefici all'azienda stessa.

Definizione per addetti ai lavori

"Product Analytics consiste nel non preoccuparsi della raccolta dati e usare i dati per generare intuizioni uniche riguardo utenti, uso del prodotto e business."

-- Matthew Brandt, CXL Institute

Questa seconda definizione è più tecnica, ma è molto utile perché, se approfondita, aiuta a comprendere quali sono i fattori di maggiore interesse nell’intraprendere un’analisi di prodotto.

Analizziamo insieme i punti evidenziati:

  • Per non doversi preoccupare della raccolta dati, è fondamentale avere dati affidabili, chiari e condivisi a livello aziendale. Questo primo step preliminare presenta già diverse sfide operative, in quanto presuppone un lavoro su più livelli che allinei tutti gli stakeholders di prodotto.
  • Parlare di utenti e metterli al centro nasce dalla considerazione che ignorarli è un rischio che nessuna azienda può correre, ma al contempo trattare tutti allo stesso modo o all’opposto spendere troppi sforzi in analisi approfondite sono due estremi deleteri per il business.
  • Analizzare l’uso del prodotto è un’attività non semplice ma di grande importanza. Anche se quel prodotto è stato creato con determinati pattern in mente, quasi sempre alla prova dei fatti si scopre che vengono compiute azioni e raggiunti obiettivi in modi imprevisti o non contemplati. Comprendere meglio i diversi percorsi, progettati e non, che portano gli utenti a raggiungere gli obiettivi è fondamentale per capire in che modo agire.
  • Infine parliamo di business perché la Product Analytics è fortemente collegata alle performance aziendali. La ragione è semplice: se il business si basa sull’uso di un prodotto da parte del cliente, ogni modifica di prodotto fatta avrà inevitabilmente un impatto sul business.

Adottare correttamente un framework di Product Analytics permette di analizzare questi cambiamenti e capire quali impatti portano, fino ad elaborare nuovi cambiamenti che migliorino le performance di business.

Product vs “Classic” Analytics

Una volta capito meglio come sia possibile definire la Product Analytics, è utile capire in che modo si distingue dalla “Classic” Analytics, ovvero quella non incentrata sul prodotto (esempio pratico: raccolta dati per un sito web ecommerce).

Classic AnalyticsProduct Analytics
Tempi di azione / rilascio risultatiEstesi: per vederne effetti possono essere necessari da 1 a +6 mesiRidotti: nuove features possono essere rilasciate anche in pochi giorni.
Definizione degli obiettiviPianificata: gli obiettivi e le maggiori domande sono già note in fase di implementazione.Retroattiva: i Product Owners non disporranno della definizione degli obiettivi o domande dall’inizio, ma in seguito
Focus dell’approccioTransazionale: incentrato su transazioniUser-centric: le interazioni e il comportamento degli utenti con il prodotto sono messe al centro
ReportisticaStatica: poche variazioni nel corso del tempoAd-hoc con molteplici interazioni: varia in base agli scenari e alle azioni, richiede confronto con molteplici attori
Main DriversMarketing e campagne: mirato ad ottimizzare le conversioni e performanceSpecifici obiettivi di prodotto a livello utente o di azienda: le conversioni non sono così rilevanti quando i driver di prodotto.
Tabella di comparazione tra Classic Analytics e Product Analytics

Come si vede bene dalla tabella, le differenze sono molto marcate e non lasciano molto spazio a rischi di confusione in termini di attività che comportano.

Un punto molto importante da approfondire è sicuramente sulle metriche che i due processi misurano.

Nella Classic Analytics, le metriche prese in più alta considerazione sono spesso quelle più legate al business (revenue, costi advertising, ..). Questo si spiega poiché il focus della analitica classica è transazionale, ovvero portare l’utente alla conversione, definita a priori e legata agli obiettivi di business.

Quando parliamo di Product Analytics invece le cose cambiano. Spostando il focus dalla conversione all’utente e le sue interazioni, utilizzare come unico riferimento metriche che derivano dalle azioni degli utenti (transazioni, conversioni, …) sarebbe deleterio per il corretto sviluppo del prodotto.

L’obiettivo della Product Analytics deve essere quella di allineare lo sviluppo di nuove features, e di conseguenza l’aumento dell'affezione dell’utente verso il prodotto, al raggiungimento degli obiettivi di business. 

North Star Metric

Questo punto di incontro tra quelli che sono i valori degli utenti e quelli che sono i valori del business è definito canonicamente come North Star Metric (NSM), e rappresenta il problema degli utenti che il prodotto cerca di risolvere. 

La NSM rappresenta in questo senso quella singola metrica su cui i Product Owners devono concentrarsi a migliorare per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di business.

Questa metrica si distingue da ogni altra metrica della Classic Analytics, spesso comuni a diversi business e definibili facilmente a priori, in quanto rappresenta una vera e propria sintesi della strategia aziendale di crescita, una guida di lungo periodo che deve guidare l’intera azienda.

Qui di seguito riportiamo alcune North Star Metrics di alcune startup, così come riportate da a16z.

North Star Metric di +40 aziende tech, da a16z

I vantaggi della Product Analytics

Per capire i vantaggi che può portare la Product Analytics, è necessario capire le tipologie di business per cui è adatta e quale obiettivo è importante porsi.

A chi si rivolge?

La Product Analytics non ha vincoli in termini di industry o fase di sviluppo di un’azienda. Si tratti infatti di un insieme di strumenti utili sia per la crescita che per il mantenimento delle performance raggiunte.

L’unica vera discriminante da considerare è se sia presente uno o più prodotti digitali e che tale prodotto sia al centro dell’intersezione tra utenti e azienda. Per chiarire questo punto è utile fare alcuni esempi:

  • Un'azienda che produce prodotti fisici e li vende tramite un ecommerce.

Pur essendo classificabile come un’azienda di prodotto, non trarrà grandi benefici dall’applicare la Product Analytics. Questo perché i suoi interessi strategici si limitano ad un rapporto transazionale con il cliente.

  • Un’azienda che produce prodotti fisici dotati di interfacce digitali (ovvero che comunicano o sono accessibile grazie ad interfacce digitali) e li vende tramite ecommerce.

Non trarrà benefici dall’applicare la Product Analytics limitatamente alla porzione di vendita. Ma potrebbe avere importanti vantaggi nell’analizzare le interazioni tra utente e prodotto tramite canali digitali.

  • Un’azienda che crea un’app, che si tratti di un prodotto a se stante o in congiunzione con altri.

Avrebbe considerevoli vantaggi dall’applicare un framework di Product Analytics alle interazioni degli utenti con il proprio prodotto. Questo permetterebbe di migliorare l'esperienza utenti e di conseguenza le potenzialità di monetizzazione.

In generale è quindi utile applicare la Product Analytics ogni qual volta avvengano interazioni dirette su canali digitali tra cliente e prodotto.

Quale obiettivo porsi?

Per dare una definizione generale di obiettivo da porsi nella Product Analytics, sarebbe:

Ottimizzare l’intero Customer Journey all’interno del prodotto (e non solo), collegando ogni step del Customer Lifecycle ad un Data Point, permettendo così di migliorare l’esperienza utente, aumentare la fedeltà sul prodotto (retention), e collegare metriche digitali a metriche del business.

Si traduce nel poter mappare ogni punto di contatto tra cliente e prodotto, analizzando lo stato del cliente tramite l’invio di dati strategicamente definiti. Questi permetteranno di apportare modifiche al prodotto al fine di aumentare l'affezione del cliente verso il prodotto e di conseguenza aumentare i benefici per l’azienda.

Questo obiettivo andrà poi approfondito in base al contesto dell’azienda o prodotto, declinandolo in base alla North Star Metric più adatta al proprio business.

Il modo migliore per raggiungere i propri obiettivi e ottenere i massimi vantaggi da questo processo è dotarsi delle giuste competenze e strumenti. 

Per questo processo noi consigliamo Mixpanel, tool verticale sulla Product Analytics tra i migliori al mondo e di cui siamo Partner certificati.

Mixpanel: lo strumento giusto per la Product Analytics

L’obiettivo di Mixpanel è aiutare le aziende a costruire prodotti migliori (Build Better Products) fornendo un potente software di self-service product analytics per aiutare a convertire, coinvolgere e mantenere attivi i propri utenti.

A differenza di altri prodotti per la self-service analytics, Mixpanel nasce specificamente per rispondere al bisogno di analizzare le interazioni degli utenti con prodotti digitali e ricavarne insight ed opportunità per la crescita.

Il Data Model di Mixpanel

Mixpanel, a differenza di servizi per la marketing analytics, utilizza un data model che si basa su due elementi fondamentali:

  • Eventi: qualsiasi azione significativa che un utente esegue
  • Profili: una raccolta di informazioni su un singolo utente

Questi due elementi al loro interno contengono Proprietà che forniscono maggiori dettagli sulle interazioni a cui sono associati. Si distinguono in:

  • Proprietà Evento: coppie chiave-valore allegate a un evento che forniscono dettagli sull'azione che è stata eseguita
  • Proprietà Profilo: coppie chiave-valore allegate a un profilo che forniscono dettagli sullo stato più recente di un utente

Le Proprietà Evento e Proprietà Profilo coesistono, ma hanno comportamenti e scopi diversi.

  • Le Proprietà Evento  sono informazioni statiche registrate al momento dell’evento
  • Le Proprietà Profilo sono informazioni dinamiche sullo stato attuale dell’utente

Anche se vi sono limiti sul numero di proprietà che eventi e profili possono avere (massimo 255), non vi sono limiti al numero di properties che siano utilizzabili a livello di progetto.

Questa struttura, simile per molti versi a quella di GA4 (che è appunto basato su eventi), permette però una ricchezza di informazioni molto più elevata, che si traduce nella possibilità di svolgere analisi più dettagliate e potenzialmente valide sul prodotto.

Strategia ed implementazione 

Mixpanel è uno strumento che offre grandissime possibilità di analisi una volta che è stato correttamente installato, ma proprio perché si tratta di uno strumento molto potente richiede competenza e pianificazione per essere implementato correttamente.

Dal punto di vista tecnico, Mixpanel offre integrazioni con diverse librerie sia client-side che server-side che ne rendono possibile l’implementazione.

Il processo di implementazione standard segue una scaletta simile:

Planning

Il momento in cui il PM assieme a contributors dai team di prodotto e team a contatto con il pubblico individuano gli obiettivi e definiscono la roadmap di implementazione.

In questa fase avere nel team le competenze e conoscenze giuste è fondamentale, in quanto richiede un lavoro di volto ad identificare i business objectives, capire quali KPIs vi siano collegati ed individuare quali metriche ed azioni significative sia importante tracciare per avere una chiara panoramica. 

Il tutto confluirà poi in una pianificazione delle attività di sviluppo, nella quale ogni inaccuratezza potrà comportare ritardi, errori o disallineamenti tra teams.

La strategia con cui attuare questa pianificazione è personale e variabile da progetto a progetto, ma è indicativamente sempre utile includere queste attività:

  • Identificare gli obiettivi di business
  • Definire i KPIs collegati a tali obiettivi di business
  • Individuare una lista di azioni degli utenti che impattano i KPIs
  • Tradurre le azioni degli utenti in Eventi e Proprietà associate

Sviluppo

In questa fase il PM collaborerà con il team di sviluppo per implementare e testare la soluzione pianificata in precedenza. 

Una volta svolta con successo la fase di implementazione, sarà possibile accedere alle capacità di analisi avanzate offerte da Mixpanel.

Le potenzialità di analisi

Mixpanel offre soluzioni di analisi ad alto livello e di dettaglio, con un'interfaccia intuitiva e facilmente modificabile.

Le possibilità di analisi sono molteplici e la loro validità è fortemente legata alla tipologia di prodotto e alla tipologia di quesito.

Alcune delle analisi possibili includono:

  • Numero di utenti attivi
  • Analisi del funnel completamente customizzabile
Analisi del funnel su Mixpanel per la Product Analytics
  • Analisi della Retention degli utenti per segmenti
Analisi della Retention su Mixpanel per la Product Analytics
  • Analisi per coorti
Analisi della coorti su Mixpanel per la Product Analytics

Grazie alle capacità dello strumento e alle nostre competenze, sarà possibile sempre più conoscere i propri utenti e offrire loro esperienze uniche, generando valore per essi e per il proprio business.

10 Dicembre 2021

Migliorare le performance con il testing

Il mondo in cui viviamo è sempre più dinamico e connesso, in cui il cambiamento è una costante universale e la mole di dati ed informazioni accessibili alle aziende è in aumento esponenziale ogni giorno.

In questo contesto mutevole, prendere azioni e definire strategie aziendali basandosi sui dati diventa una sfida sempre più complessa e potenzialmente rischiosa. 

Alcune aziende semplicemente non affrontano la sfida, magari perché bloccati in una “gabbia di dati” da cui decidono di uscire prendendo decisioni basate su istinto o intuizione. Questo approccio non riduce i problemi ma anzi li rende sistemici e più difficili da affrontare, portando inevitabilmente ad una perdita di competitività sul mercato.

Altre aziende invece, quelle motivate a far emergere la loro presenza online e ottenerne gli enormi potenziali benefici, sono spinte ad una corsa verso l’innovazione. Queste aziende utilizzano con successo i dati per intraprendere processi di testing su ogni aspetto del loro business, riducendo i rischi e aprendo nuove strade per la crescita.

Questo divario è ancora più evidente nel mondo digitale, dove se non si vuole essere scalzati dai competitors occorre investire continuamente nell’offrire una user experience (UX) migliore, avere le funzionalità più richieste, promuovere il prodotto giusto all’utente giusto.

Basti pensare che sempre più una modifica anche lieve nella UX di un sito, come il colore e posizione di un bottone, è capace di aumentare o diminuire drasticamente la revenue di un’intera azienda. Questo tipo di modifica può essere facilmente testata con la metodologia A/B testing, riducendo al minimo il rischio di impatti negativi sulle performance.

Ma come capire quali aspetti modificare, quali feature implementare, quale iniziativa lanciare?

Per rispondere a tutte queste domande, occorre applicare un processo di testing che sia scientifico, misurabile e azionabile, il quale porterà ad adottare un sistema di decision-making data-driven e a minor rischio. 

In questo articolo raccontiamo la metodologia che usiamo in Digital Pills per validare, testare e migliorare le performance dei canali digitali dei nostri clienti.

Cosa significa fare testing?

Fare testing in un contesto digital significa verificare la validità di una proposta di modifica, definita in termini tecnici “variante”, prima di renderla effettivamente attiva per tutti gli utenti.

Quando parliamo di validità intendiamo che la variante proposta sia migliorativa rispetto alla soluzione in uso, producendo di conseguenza un miglioramento delle metriche a cui si riferisce. 

Facciamo un esempio: un e-commerce presenta molti visitatori e aggiunte di prodotti al carrello, ma pochi acquisti di prodotti conclusi. Analizzando il flusso di acquisto, si notano diversi punti in cui un visitatore esce dal flusso di acquisto. A questo punto vengono ideate una serie di soluzioni per le diverse fasi, ma non è chiaro quali implementare e se producano i risultati sperati.

Ci si ritrova insomma con molteplici ipotesi, ognuna delle quali potrebbe potenzialmente essere una soluzione ai problemi, oppure danneggiare ulteriormente le performance del sito. O, caso comune, funzionare singolarmente ma non essere efficaci prese in combinazione con altre ipotesi.

Per risolvere queste domande, la soluzione migliore e con la maggiore probabilità di successo è testare, analizzare, ed ottimizzare.

Esistono diverse tipologie di test possibili da realizzare, vediamone insieme alcuni.

cosa significa fare testing digital pills

Tipologie di testing

Molto spesso si fanno coincidere Testing con A/B Testing.

Secondo la definizione di Salesfoce:

“Il test A/B è un modo di confrontare due versioni di una singola variabile per testare la risposta del soggetto rispetto alla variabile A o B e determinare quale risulti la più efficace”.

Se però parliamo di Testing, questa non è nient’altro che una singola metodologia applicabile, spesso inadatta alle reali necessità.

Per fare un esempio pratico possiamo considerare l’analogia con un menù di una pizzeria.

cosa significa fare testing: un menu di una pizzeria

In questo scenario l’A/B testing sarebbe una singola pizza (magari una margherita, che quando non si sa cosa prendere è la scelta più facile), mentre l’intera gamma di metodologie e opzioni disponibili rappresenta l’intero menù. 

cosa significa fare testing: l'ab test é solo una delle tante metodologie, come una margherita in un menu

Così come si trovano pizze molto diverse tra loro per impasto ed mix di ingredienti adatte a tutti i gusti, allo stesso modo esistono molteplici possibilità di test eseguibili in base alla situazione.

Volendo meglio capire come è possibile capire quali test siano i più adatti, è utile distinguerli in due tipologie principali:

Test quantitativi

Si tratta di test che si basano sul campo della statistica e probabilità, in cui i risultati sono di tipo numerico e più vicini ad una oggettività riconosciuta.

Un tipico output di queste tipologie di test sono percentuali di variazione dallo stato di fatto, o modelli matematici più complessi che servono a fornire parametri oggettivi per valutare la validità di diverse soluzioni a confronto.

A questa tipologia di test appartengono:

  • AB Test
  • Test multivariata
  • Redirect Test

Per la loro esecuzione ed interpretazione sono richieste capacità di analisi numerica spesso avanzate e soluzioni tecnologiche di supporto specifiche.

Test qualitativi

Si tratta di test che si basano maggiormente sull’euristica e alla psicologia cognitiva, i cui risultati non sono in alcun modo oggettivi e sono basati sull’interazione con soggetti presi a campione.

Un tipico output di questo tipo di test sono interviste a clienti, che non offrono parametri oggettivi per prendere decisioni ma possono supportare a capire meglio le intenzioni e le modalità di comportamento degli utenti a cui ci rivolgiamo.

A questa tipologia di test appartengono tra gli altri:

  • Cognitive Walkthrough
  • User Testing
  • Usability Testing

Questa tipologia di test viene eseguita da professionisti competenti in ambito di psicologia, design e user research, e richiede forti capacità di osservazione, conoscenza delle metodologie ed esperienza.

Perché fare Testing?

Ora che è più chiaro il panorama di cosa significhi fare testing e come esistano diverse tipologie di test realizzabili, sorge spontanea la domanda: 

Ma fare test è davvero così importante?

Per rispondere, vogliamo elencare 3 importanti benefici che adottare questo processo può portare in ogni azienda.

  1. È un metodo per verificare un’ipotesi prima di implementarla 

Trovare soluzioni è spesso solo metà del lavoro, la parte veramente importante è saperle implementare correttamente.

Ma se una soluzione, dopo aver richiesto importanti investimenti di tempo e risorse per essere implementata, si rivelasse non performante? O addirittura finisse per danneggiare le performance rispetto a prima?

Ogni volta che si sviluppa un prodotto o servizio digitale è necessario soppesare i rischi e i benefici di ogni cambiamento apportato, per rischio di investire troppo su qualcosa che in ultima battuta non funzionerà.

Testare le ipotesi prima, riducendo i tempi e costi di implementazione così come i rischi di danneggiare le performance, si presenta quindi come una best practice da adottare nell'ambito digital.

  1. È un metodo per migliorare facendosi guidare dai dati 

Esistono sempre molteplici strade per arrivare ad un punto, così come esistono diverse possibili soluzioni ad un problema.

Quando si è costretti a valutare una serie di possibili soluzioni, spesso può risultare difficile scegliere la “migliore” tra tutte, proprio perché risulta difficile individuare parametri oggettivi che facciano emergere una soluzione piuttosto che altre.

Adottare un processo di testing strutturato risponde in maniera chiara a questo problema: sarà la statistica a decretare le varianti vincenti, non le opinioni.

  1. È un metodo per non smettere mai di migliorarsi

Il mondo digital è in costante evoluzione e richiede un continuo impegno per stare al passo e coglierne le opportunità.

Un processo di testing ben strutturato ed implementato ha due grandi vantaggi per un’azienda.

Primo, porta miglioramenti tangibili sulle performance e i KPIs aziendali, producendo un valore oggettivo.

Secondo, crea e nutre un ambiente di crescita e sviluppo continuo, incoraggiando tutti gli attori coinvolti a cercare, provare e adottare continuamente nuovi modi per migliorare.

Se intrapreso non come singola attività ma come processo di trasformazione aziendale, la metodologia di testing può portare vantaggi su più livelli del singolo obiettivo.

Una volta raccontato cosa significhi fare test e perché questo è importante, vogliamo raccontare la nostra metodologia, raccontando le diverse fasi, i processi, e infine i risultati che portano.

Il processo di Testing in Digital Pills

Il processo di Testing che seguiamo in Digital Pills è strutturato in 5 fasi sequenziali: 

  • Requirements Definition
  • Research
  • Experiment Backlog
  • Testing
  • Measure & Evolve

Vediamo meglio insieme quali attività coinvolgono e quali output generano.

Requirements Definition

Questo primo step è essenziale per impostare correttamente il perimetro d’azione di un’attività di test. Durante questa fase vengono definite e strutturate meglio le necessità specifiche del cliente, analizzando le specificità del contesto e individuando le aree di azione o flussi di maggiore impatto.

In questo step non si compie ancora una prioritizzazione, ma si individuano quali attività sono maggiormente allineate alla strategia aziendale e per tale motivo abbiano la precedenza nel processo di definizione ed esecuzione dei test.

Research

In questa seconda fase si procede a svolgere le prime analisi qualitative e/o quantitative, grazie alle quali è possibile individuare una lista di ipotesi da testare così come raccomandazioni e best practice da applicare al proprio prodotto.

Questo processo genera un output solitamente corposo di possibili azioni migliorative da applicare al sito, raccolte in uno o più documenti definiti “Solution Cards”.

Le Solution Cards sono ipotesi di ottimizzazione basate su osservazioni ed analisi svolte che presentano diversi scenari, alle volte anche contrastanti, per fornire un'ampia gamma di possibilità di miglioramento del prodotto/servizio digitale.

esempio di solution card

Questo output presenta insomma una serie di possibili soluzioni azionabili da mettere in pratica, ma non è filtrato o prioritizzato per fornire indicazioni utili su quale soluzioni testare. Il processo di prioritizzazione porta invece alla definizione del Experiment Backlog.

Se ti interessa approfondire il tema delle solution card e vedere come le utilizziamo puoi leggere il progetto di CX Optimization con Wella.

Experiment Backlog

Si tratta di uno step fondamentale nel processo di testing che permette di definire le priorità di test e creare un vero e proprio piano d’azione.

Esempio di Experimentation Backlog

L’obiettivo in questa fase è di creare una lista di ipotesi prioritizzate in base all’impatto previsto sui KPIs principali dei flussi presi in analisi. Questo documento permetterà di individuare dove investire effort e risorse per avere un migliore ritorno dall’attività.

L'attività di prioritizzazione delle ipotesi non è un processo soggettivo, ma viene basato su dati ricavati da analisi mirate e segue un processo rigoroso per arrivare ad un risultato affidabile:

  1. Classificazione delle interazioni per flusso

In questa fase analizziamo  tutte le interazioni possibili con il prodotto digitale, classificandole per flusso. Questo permette di arrivare ad una mappatura significativa delle possibili azioni compiute da un utente che abbiano un impatto sulle performance e contribuiscono al miglioramento dei KPIs.

  1. Analisi di correlazione

Questa fase fa uso di modelli statistici e analisi quantitative avanzate per analizzare le interazioni in maniera cronologica, così da arrivare a comprendere quali sono le azioni che influenzano maggiormente il KPI principale.

Analisi di questo tipo vengono svolte su ogni flusso e aiutano a comprendere quanto realmente ogni azione degli utenti sia rilevante per portare ad un obiettivo. 

I risultati di questa attività sono spesso contro-intuitivi e aprono diverse possibilità prima di allora non contemplate o considerate rilevanti. Tuttavia i risultati si presentano in un formato visuale poco comprensibile, per questo risulta necessario costruire una soluzione visuale più chiara: il Driver Tree.

  1. Costruzione driver tree pesato

L’obiettivo di questa fase è dare un output più facilmente visualizzabile dei risultati delle analisi quantitative svolte precedentemente sulla correlazione di azioni e obiettivi. 

Per fare questo, costruiamo un driver tree pesato per tipologia di device, il cui spessore dei mari si basa sull’influenza che esercitano sul KPI principale.

Questo output permette di visualizzare concretamente i legami tra azioni e obiettivi all’interno di un prodotto, facilitando la lettura e comprensione da parte di tutti gli stakeholders di progetto.

  1. Prioritizzazione

L’ultima fase dell’attività di prioritizzazione traduce tutte le analisi e considerazioni svolte in precedenza in un documento tabulare dove sono riportate tutte le ipotesi con i relativi KPI di riferimento organizzate in base alla priorità individuata.

Questo rappresenta un vero e proprio piano di azione per procedere nello svolgimento dei test, guidando l’ordine di esecuzione e la rilevanza rispetto agli obiettivi aziendale.

Testing

La fase di Testing è un passaggio chiave e complesso, in cui dopo aver strutturato un piano di azione e obiettivi chiari, si passa a costruire un processo di testing per verificare quali ipotesi possano essere implementate.

Il processo di Testing è molto intensivo come effort e richiede di base due tipologie di competenze da parte del cliente:

  • Un Designer (ove richiesto)
  • Uno Sviluppatore (per poter implementare il test su Optimize)

Una volta compiuta questa attività sulle ipotesi prioritizzate, si arriverà all’individuazione di una Winning Variant, ovvero quell’ipotesi che alla prova dei test svolti abbia portato un concreto miglioramento delle performance del prodotto digitale.

Esempio di winning variant

Questa sarà la base per l’implementazione ad ampio spettro sull’intero prodotto, che potrà essere svolta con la consapevolezza che porterà un impatto positivo sugli obiettivi aziendali.

Measure & Evolve

L’ultima fase di Testing riguarda la creazione di una reportistica dettagliata sulle performance delle soluzioni testate, confrontando i KPIs prima e dopo la pubblicazione dei test.

Questo report, denominato Impact Measurement Report, serve per comprendere se il test sia stato un successo rispetto alle attese e valga effettivamente la pena di essere implementato sull’intero prodotto. 

Esempio di impact measurement report

Anche se questo si configura come ultimo output del processo, in realtà si tratta potenzialmente di un nuovo inizio, dove sulla base dei dati raccolti durante i test diventa possibile individuare nuove ipotesi da testare, le quali potranno potenzialmente migliorare ulteriormente le performance.

Conclusioni

Intraprendere un processo di Testing rappresenta un investimento strategico per la crescita di un prodotto digitale, anche se spesso genera diverse domande. Vorremmo dare delle risposte alle più comuni.

  • Quanto tempo serve per fare un programma di testing?

Il tempo è sicuramente un fattore importante, ma non esiste una risposta univoca alla domanda. Fermo restando che la sperimentazione dovrebbe essere un processo continuo per l’azienda e tutte le sue funzioni, la durata di un programma può variare. In Digital Pills suggeriamo un impegno ideale di 12 mesi, in cui sia possibile non solo portare avanti diversi esperimenti, ma durante i quali riesca veramente a consolidare la cultura del testing nelle diverse funzioni aziendali. Per aziende più mature e già affini alla metodologia di testing che necessitino di supporto, anche impegni mensili o semestrali possono essere adatti.

  • Quando è meglio cominciare?

Il detto dice “chi ben comincia è a metà dell’opera”, ed è altrettanto vero nell’esecuzione di un processo di testing. Basti pensare che ritardare questo tipo di attività ha dei costi concreti sull’azienda.

In primis va considerato il costo di sviluppo ed implementazione di soluzioni non supportate da dati. Certo, alcune volte potrebbero portare risultati positivi, ma nella maggior parte dei casi si tratta di sforzi che non portano cambiamenti, o peggio danneggiano le performance.

In secondo luogo, occorre pensare in termini di costo opportunità. Ogni occasione persa per fare testing significa limitare la capacità di innovare in azienda, perdere opportunità uniche e rinunciare a nuove possibili soluzioni migliorative.

Come regola generale, più un’azienda è strutturata e interessata alla crescita, maggiore è la sua urgenza di implementare un processo di sperimentazione. Per determinati test sono inoltre richieste specifici volumi di dati, ma anche su numeri inferiori molti test possono portare risultati d’impatto.

  • Che aspettative avere in termini di risultati?

La risposta più corretta è dipende.

Esistono molteplici tipologie di test, da più basici test di UX che possono migliorare il conversion rate a test più strategici a livello aziendale che possono portare impatti considerevoli a diverse metriche.

Va inoltre considerato che molti test falliscono. O per meglio dire, dimostrano che le possibili variazioni progettate sono meno performanti di quella attuale. Il che però è, nel suo complesso, un ottimo risultato, in quanto ha permesso di evitare il costo dell’errore e fornisce nuovi spunti per progettare soluzioni migliori. 

Il modo migliore per approcciare un processo di testing è quello di non aspettarsi che tutti i colpi vadano a segno, ma adottare una metodologia iterativa e di continuo miglioramento, in cui tutti i dati raccolti aiutano a far progredire verso la crescita.

  • Quanto spesso devo eseguire esperimenti?

L’ideale approccio alla sperimentazione è continuativo ed esteso ad ogni aspetto dell’azienda. Nella pratica questo non è sempre possibile, in quanto entrano in gioco molti fattori ad influenzare questa scelta.

Alcuni aspetti da considerare quando si valuta il numero e frequenza degli esperimenti sono utenti raggiunti, momenti di pausa da rispettare, necessità tecniche e risorse disponibili.

Creare una roadmap di sperimentazione che tenga conto di questi ed altri fattori è sicuramente la soluzione migliore per assicurare il successo del processo di testing.

La necessità di evolvere per stare al passo con i mutamenti del mercato digitale è comune a tutte le aziende, ma riuscire a farlo basandosi su dati oggettivi e riducendo considerevolmente i rischi rappresenta un vantaggio competitivo importante.

  • Devo fare esperimenti anche se i miei competitors non li fanno?

Applicare un processo di miglioramento continuo data-driven basato sul testare ipotesi prima di implementare permette ad ogni azienda che offra prodotti o servizi sui canali digitali di migliorare le proprie performance, portando al minimo i rischi di sprecare effort e risorse in modifiche non impattanti.

Adottare una metodologia di Testing solida e basata sui dati è in grado di fornire ipotesi che realmente rispondano ai bisogni aziendali, generando un impatto concreto e quantificabile sulle performance. Per questa ragione, si tratta di un investimento che avrà un ritorno sicuramente positivo, che sia in termini migliorativi tramite soluzioni migliori, o in termini di risparmio di risorse e effort per l’azienda.

1 Dicembre 2021

Data Strategy: un’opportunità per la crescita

Ogni azienda che operi sull’attuale mercato è costantemente alla ricerca di nuove opportunità, cercando di utilizzare a pieno tutte le risorse che ha a disposizione.

Che si tratti di investimenti in nuovi tools, piani di sviluppo del personale, ottimizzazione della produzione o modelli di organizzazione del lavoro, esistono molte strade attraverso cui raggiungere un vantaggio competitivo.

Tra le diverse strade ne esiste una spesso sottovalutata ma ad altissimo impatto: sviluppare una strategia dei dati.

Spesso i dati aziendali vengono interpretati come risultati a posteriori di attività, limitandosi ad un ruolo di reportistica. Questo limita fortemente la capacità di utilizzare i dati in modo strategico, ovvero usarli come leva per cogliere nuove opportunità.

I dati non sono unicamente indicatori dei risultati di decisioni, ma possono essere veri e propri fattori di crescita e sviluppo, andando a supportare ed arricchire la stessa strategia aziendale.

Questa modalità di gestione data-driven parte da una considerazione fondamentale: i dati sono un asset dell’azienda. E come altri asset possono contribuire al raggiungimento di obiettivi.

Per questa ragione, così come è importante trovare i modi migliori per valorizzare ogni funzione aziendale, allo stesso modo occorre definire un piano che permetta di far leva sul valore che i dati possono portare.

Quello che occorre è insomma una Data Strategy.

Ma di cosa si tratta esattamente? E quali passi è necessario fare per definirne una?

In questo articolo raccontiamo meglio come il processo che porta alla creazione ed esecuzione di una Data Strategy sia un’occasione per ogni azienda non solo di crescere ma di aprire nuove opportunità per il proprio sviluppo.

Cos'è e a cosa serve una Data Strategy?

Mentre per altri aspetti sono ben consolidati terminologie e processi, parlando di Data Strategy può essere utile chiaramente cosa significhi.

Seguendo la definizione accademica del MIT Center for Information Systems Research Data Board, per Data Strategy si intende:

Un concetto centrale e integrato che articola come i dati permetteranno e ispireranno la strategia aziendale".

Se questa definizione crea più confusione che altro, ci siamo permessi di darne una più concreta:

Processo basato sulla strategia che risponde ai bisogni aziendali e che permette di trasformare i dati in asset, creando nuove opportunità di crescita e abilitando un management data-driven.

Questa definizione più pratica introduce alcuni elementi essenziali per capire quali sono gli obiettivi che ogni azienda dovrebbe porsi nel decidere di definizione di una Data Strategy.

In primis, si tratta di un processo, non una singola attività, proprio perché è prolungato nel tempo e richiede il coinvolgimento attivo delle parti.

Altro aspetto importante è l’essere basata sulla strategia aziendale per rispondere ai bisogni aziendali. Qui è importante riuscire a distinguere tra le aziende che sono data-informed e le aziende che sono invece data-driven.

Guardare una dashboard con i risultati di una strategia e confrontarli con le attese è usare i dati in maniera informativa. Visualizzare ed analizzare i dati raccolti per elaborare una strategia che permetta di raggiungere obiettivi è far leva sui dati in maniera strategica.

Nel primo caso il dato permetterà soltanto di avere maggiori informazioni sull’efficacia o meno di iniziative, mentre nel secondo sarà possibile definire iniziative che possano rispondere concretamente a degli obiettivi proprio perché basate sui dati.

Quali vantaggi offre una Data Strategy

Riuscire a definire ed attuare una corretta Data Strategy offre diversi vantaggi ad un’azienda.

  1. Usare i dati per raggiungere gli obiettivi di business

La Data Strategy ha l’obiettivo di rendere i dati uno strumento utile al raggiungimento degli obiettivi di business, allineando il loro utilizzo ai bisogni reali dell’azienda.

  1. Scoprire opportunità di crescita basate sui dati

Una corretta strutturazione e gestione dei dati aziendali permette ad analisti, management e funzioni cross-team di fare leva sui dati per individuare opportunità di crescita, sia a livello di singolo dipartimento che a livello di intera azienda.

  1. Rafforzare la collaborazione tra funzioni aziendali

Costruire una architettura dei dati solida e condivisa, permette a dipartimenti e funzioni differenti di comunicare e definire obiettivi a partire da una base comune di comprensione, i dati stessi.

Tutto questo si dimostra utile per diversi tipi di iniziative aziendali:

  • Per i team marketing per analizzare ed ottimizzare rapidamente le iniziative
  • Per i team e-commerce o prodotto, per migliorare le performance digitali
  • Per il management, per ottenere una visione d’insieme dell’azienda a colpo d’occhio

Per quantificare meglio quanto la Data Strategy possa impattare a livello concreto, proviamo a pensare in termini di rischi per l’azienda e costi-opportunità del lavoro di analisti.

Secondo diverse ricerche intersettoriali, in media oltre il 70% dei dipendenti accedono o possono accedere a dati a cui non dovrebbero. Quello che potrebbe sembrare semplicemente frutto di un errore di sistema espone invece l’azienda a rischio di perdite dati (i cosiddetti data leaks se volontari o data breach se forzati).

Anche senza questo tipo di eventi criminosi, accessi non regolamentati da parte di utenti non competenti o informati possono produrre un’errata interpretazione dei dati, i cui effetti sono possono essere molto impattanti, o addirittura una distorsione o corruzione dei dati stessi, eventi che hanno un impatto spesso enorme per aziende che si basano sui dati per prendere decisioni. Per farsi un idea, chiedetevi cosa succederebbe se per sbaglio un dipendente cancellasse lo storico del vostro CRM.

Volendo invece vederla non in termini di sicurezza ma in termini di efficienza, occorre capire quanto una strategia dei dati possa contribuire a rendere più gestibili e azionabili i dati. 

Si stima che fino all’80% del tempo degli analisti sia speso a scoprire e preparare dati (fonte: HBR), mentre la restante parte è effettivamente spesa per analizzarli e presentarli. Questo significa che la maggior parte del tempo e delle risorse dedicate all’uso dei dati sono spese soltanto per gestirli, non per renderli utilizzarli concretamente.

Adottare una buona strategia dei dati significa avvantaggiare le aziende in due modi:

  • Riducendo i costi per la gestione e l’uso dei dati
  • Aumentarne l’usabilità e individuare nuove opportunità che offrono

Per ottenere questi benefici è necessario coinvolgere l’intera azienda nel processo della redazione ed implementazione della Data Strategy. 

Come implementare una Data Strategy in azienda

Creare una strategia dei dati su misura per le esigenze aziendali è un processo impegnativo che richiede la partecipazione di diverse funzioni aziendali e un tempo prolungato, ma i cui vantaggi ricadono sull’intera azienda.

Il modo migliore di partire in questa attività è porsi alcune domande chiave, le cui risposte plasmeranno la strategia dei dati che andrà ad essere implementata.

Domande per la Data Strategy

L’elenco delle domande da porsi nel processo è ovviamente molto lungo, ma per orientarsi è molto utile tenere presente almeno queste 5 domande:

1. Chi è responsabile di assicurare che i dati siano accurati, completi e aggiornati?

Attribuire la ownership dei dati è fondamentale: se da un lato risolve alla radice la questione accountability, a livello più concreto permette di stabilire un'unica fonte di verità (single source of truth, o SSOT), ovvero un riferimento a livello aziendale che assicura la correttezza dei dati utilizzati, prevenendo i rischi di corruzione o errata interpretazione dei dati.

2. Possiedi le competenze per rispondere ai bisogni di dati?

Realizzare ed implementare una Data Strategy richiede competenze tecniche specifiche ed estese su diversi ambiti, sia specifici del settore in cui l’azienda opera che di altri ambiti che toccano la sfera dei dati (es. IT, legale).

Tutte queste competenze non devono essere necessariamente presenti internamente all’azienda, ma possono (e in alcuni casi dovrebbero) essere reperiti da enti esterni come agenzie, studi legali o società di consulenza.

Fare affidamento su professionisti competenti sulla gestione dati è fondamentale per evitare che scelte errate di implementazione tecnica o strategica portino a gravi lacune ed inefficienze nell’utilizzo dei dati strutturati alla fine.

3. Come implementare il piano? Quali sono le attività chiave che devono avvenire?

Una strategia dei dati per essere completata richiede diverse attività, spesso non sequenziali ed parzialmente indipendenti tra di loro, aumentando notevolmente la complessità nella gestione.

Per prevenire errori o ritardi, è fondamentale avere ben chiari gli obiettivi da raggiungere e gli step necessari, individuare le attività chiave e assegnare ad esse la giusta priorità.

4. Chi è responsabili per raggiungere ogni azione?

Coordinare tutte le attività e far cooperare le diverse funzioni necessarie per implementare una Data Strategy richiede una gestione chiara dei ruoli e delle responsabilità.

Per tali figure la migliore soluzione è puntare su professionisti con esperienza nella gestione delle diverse attività, così da assicurarsi il migliore dei risultati. 

5. Quali cambiamenti deve fare il tuo business? Che aspetti deve affrontare?

Ogni Data Strategy ben implementata porta inevitabilmente un cambiamento all’intero business, aprendo nuove opportunità e mostrando vulnerabilità. Per questa ragione, così come seguendo il processo l’approccio ai dati dell’azienda inevitabilmente muterà, allo stesso modo questo momento può agire da catalizzatore per abilitare più ampie e profonde trasformazioni aziendali.

Queste domande non vanno poste tutte assieme in una singola volta, né richiedono fin da subito risposte definitive. Così come il processo di rendere l'azienda realmente data-driven passa da cicli di miglioramento continui, allo stesso modo con il proseguimento del processo di implementazione e sperimentazione insito nella Data Strategy le domande troveranno risposte solide e provate.

Quali sono gli step della Data Strategy in azienda

Ogni processo di definizione di una strategia dei dati è inevitabilmente condizionato dal contesto in cui avviene. Diverse tipologie di business avranno bisogni, rischi e opportunità diverse dall’uso corretto dei propri dati, e le modalità specifiche con cui potranno essere valorizzati varieranno sostanzialmente. 

Basti pensare quanto possono essere simili ad alto livello ma differenti nel dettaglio i requisiti di una strategia dei dati per una banca commerciale o per un retailer della GDO.

Se però vogliamo definire alcuni step chiave nella definizione di una Data Strategy aziendale, allora è possibile individuare 4 fasi:

1. Individuare team Data Management & Data Governance

La primissima attività da svolgere è una chiara definizione dei team (che possono comprendere anche un solo individuo) che si occuperanno di supervisionare, creare ed implementare la strategia.

Solitamente per questi ruoli è consigliato avere una pluralità di figure, per garantire che siano ugualmente presenti competenze e visioni in merito all’utilizzo dei dati. 

La definizione di questi teams ha la funzione in primis di identificare un nucleo di partenza che avrà a tratti il ruolo di coordinatore, a tratti di esecutore, e altre volte di facilitatore, tutto con lo scopo di agire da apripista per l’intera azienda nel processo di trasformazione data-driven.

2. Identificare dati e sorgenti

Questo secondo step può sembrare scontato ad una prima lettura, ma nasconde diverse complessità operative nell’esecuzione pratica.

Individuare quali siano effettivamente i dati necessari da includere all’interno del perimetro di azione della strategia rappresenta una scelta non operativa ma strategica per l’intera azienda. L’inclusione o esclusione di determinati dati determinerà inevitabilmente diverse sfide alla loro gestione, aprendo o precludendo determinate scelte in favore di altre.

Per assicurarsi di fare la scelta potenzialmente corretta, questa fase richiede una intensa e approfondita comunicazione con i diversi stakeholder aziendali, intesi come le funzioni e competenze che andranno ad utilizzare effettivamente i dati per i propri bisogni specifici. Il ruolo del team centrale sarà quello di raccogliere i diversi requisiti, clusterizzare, prioritizzare ed infine associare i diversi requisiti ai corrispettivi dati.

Questa fase spesso è una fase ricca di sorprese, in cui emergono bisogno coincidenti inespressi o differenze latenti ma fondamentali nelle modalità le diverse parti di un’azienda usano i dati per raggiungere i propri obiettivi.

3. Definire obiettivi e roadmap per raccolta e uso dei dati

Applicare una strategia dei dati non è un processo veloce né semplice, e i risultati non sono subito evidenti o tangibili. Per questa ragione è fondamentale essere intelligenti nella definizione di obiettivi.

Nella pratica questo vuol dire impostare obiettivi per la propria Data Strategy che siano:

  • Specifici
  • Misurabili
  • Differenti tra breve e lungo periodo
  • Allineati a quelli aziendali

Questi criteri permettono in primis di settare le aspettative corrette per l’intero processo, guidare gli esecutori nella loro attuazione e più ad ampio respiro motivare l’intera struttura aziendale a proseguire lungo la direzione tracciata.

Una volta individuati obiettivi che rispettino questi criteri, è necessario raccoglierli e sistemarli in una roadmap complessiva di progetto, così da calare nel concreto le attività e le tempistiche necessari per raggiungerli, oltre che per facilitare la gestione complessiva dell’intera attività.

4. Pianificare lo storage dati ed implementare la strategia

Quest’ultimo step precedente all’implementazione è essenziale per la riuscita dell’intera attività, e diverse scelte in merito al modello da seguire comporteranno differenti risultati nel corso dell’implementazione e uso del sistema stesso.

Uno dei maggiori punti di differenziazione tra le diverse soluzione per la gestione dei dati è la modalità scelta per il loro storage. Questo criterio impatterà inevitabilmente aspetti quali costi, competenze richieste, scalabilità dei processi e sicurezza, tra gli altri.

Le soluzioni disponibili sono molteplici e molto flessibili in base alle proprie esigenze: per aziende di grandi dimensioni, se vi sono requisiti di sicurezza particolari, potrebbe avere senso una soluzione custom con la costruzione di un’infrastruttura privata; per aziende più piccole invece si può ottenere maggior valore dal proprio investimento facendo leva su soluzioni cloud su misura delle proprie esigenze.

Una volta individuata quale sarà la modalità di storage dei dati, inizieranno le attività di implementazione per rendere operativa la soluzione progettata.

Il servizio di Data Strategy by Digital Pills

Per dare meglio un’idea di come si sviluppi un processo di definizione ed implementazione di una strategia dei dati, vogliamo raccontare come lavoriamo qui in Digital Pills con i nostri partner.

Nella nostra visione aziendale, l’obiettivo di questa attività è introdurre e far attecchire una cultura aziendale data-driven, in cui è possibile garantire dati affidabili che permettano di analizzare ed agire sui KPI chiave per il business.

Il servizio si articola su 4 attività sinergiche fra loro:

Individuare le priorità strategiche dell’organizzazione

Basandoci su interviste strutturate ai key stakeholders aziendali, arriviamo ad una sintesi delle priorità strategiche dell’organizzazione, raccogliendo ed organizzando gli input di diverse funzioni e ruoli in un quadro d’insieme.

L’obiettivo è allineare gli obiettivi di business con la strategia di uso dei dati, garantendo il massimo impatto sull’intera struttura aziendale.

Sintetizzare le domande chiave del business

In un’azienda le diverse funzioni che convivono hanno richieste e applicazioni differenti per i dati disponibili, spesso in apparente disarmonia con altre funzioni.

Per questa ragione, è nostro compito individuare e sintetizzare assieme ai nostri partner quali siano le domande delle diverse aree aziendali alle quali i dati possono dare una risposta azionabile e misurabile.

Il punto di questa attività è capire come i dati possano concretamente aiutare la crescita aziendale.

Comprendere il grado di maturità nell’uso dei dati

Ogni azienda è unica e per questo presenta diverse sfide tecniche ed organizzative nell’implementare una strategia dei dati.

Assicurare soluzioni su misura per rispondere alle necessità e capacità dei membri di ogni team ci aiuta a rendere i dati un asset accessibile e utilizzabile correttamente da tutti gli interessati.

Il nostro scopo è offrire ad ogni nostro partner il modo migliore per ricavare valore dai suoi dati, coerentemente con i requisiti e le capacità a sua disposizione.

Pianificare in maniera condivisa e per obiettivi

In ogni progetto, il nostro approccio pone come fondamentali la stretta collaborazione con i partner, seguendo una pianificazione per obiettivi misurabili e concreti.

Operiamo seguendo un approccio Agile, lavorando per obiettivi condivisi e misurabili su sprint settimanali, facendo in modo di raggiungere sfidanti obiettivi di lungo periodo tramite quick-wins pianificate e concrete.

Questo modello ci permette di produrre risultati tangibili rapidamente, offrendo ai partner le soluzioni di cui hanno bisogno e attivando un loop di miglioramento continuo dei risultati.

Conclusione

La Data Strategy è un processo che trasforma i dati aziendali in un asset su cui far leva per crescere.

Per fare ciò, richiede capacità e competenze di diverso tipo, tutte volte a facilitare la gestione, mantenimento e sviluppo delle basi dati per le funzioni aziendali.

Intraprendere questo processo significa affrontare non soltanto un progetto tecnicamente sfidante, ma indirizzare l’intera azienda verso uno sviluppo data-driven, in cui i dati non siano più soltanto un costo ma un vero e proprio driver che impatti le decisioni.

Ogni strategia dei dati che voglia avere successo non può esimersi dal rispondere chiaramente ai bisogni interni ed essere allineata alla strategia aziendale complessiva.

Seppure si tratti di un percorso laborioso da intraprendere i suoi vantaggi sono indubbi e diffusi: rendere i dati uno strumento utile per raggiungere gli obiettivi di business, scoprire nuove opportunità di crescita data-driven, e migliorare la comunicazione ed efficienza delle diverse funzioni aziendali.

Investire in una strategia dei dati significa investire nella crescita di ogni azienda, dando solide basi da cui svilupparsi per un futuro sempre più dinamico e ricco di opportunità.

11 Novembre 2021

Digital Transformation nel post Covid-19

Quando si parla di Digital Transformation molti pensano si tratti di investire nelle ultimissime tecnologie d’avanguardia, come un sistema informatico nuovo di zecca, un servizio cloud, o un software di gestione costosissimo. Insomma, accaparrarsi le tecnologie di ultima generazione con la promessa di trasformare l’azienda e renderla pronta per il futuro.

La verità dei fatti però è ben diversa.

Parlare di Digital Transformation significa parlare di strategia.

Vuol dire iniziare un processo di trasformazione dell’intera struttura aziendale, ragionare su orizzonti temporali medio-lunghi e coinvolgere diverse funzioni.

Sentirsi scoraggiati di fronte a questa prospettiva è comune, in quanto sembra un grande impegno, sia in termini di tempi e costi, a fronte di vantaggi apparentemente poco chiari. Considerazioni che portano inevitabilmente a frenare l’entusiasmo verso queste iniziative.

Ma è davvero una questione di “o tutto o niente” quando parliamo di Digital Transformation

Ovviamente no. È importante ribadire che questo processo di trasformazione ha diversi gradi di sviluppo, e il come viene applicato deve sempre essere commisurato ed allineato agli obiettivi aziendali.

Sono molte le convinzioni erronee che bloccano sul nascere questo tipo di iniziative nelle aziende di tutto il mondo, facendole posticipare ad un futuro non definito.

A guardare i dati, pare che questo futuro sia arrivato.

Sembra infatti che interi settori abbiano preso alla lettera il consiglio di Churchill: “Mai sprecare una buona crisi!”.

Per effetto del Covid-19, moltissime aziende hanno dovuto cambiare dinamiche lavorative, processi produttivi o interi modelli di business. E molto di tutte queste trasformazioni sono qui per restare e prosperare.

Difficilmente lo smart working, l’ecommerce o i meeting da remoto verranno abbandonati in toto per tornare a come si faceva prima. E non sono le uniche cose che sono cambiate.

In questo momento ogni azienda, dalla multinazionale al piccolo negozio, si trova a dover affrontare queste e nuove sfide tecnologiche. La domanda che sorge spontanea è: come muoversi al meglio per non “restare indietro” sull’innovazione ma anzi goderne tutti i benefici?

In questo articolo vogliamo illustrare come fare della trasformazione digitale un’occasione di crescita per le aziende. Partiremo dal capirne le modalità e applicazioni per diverse aziende, sfateremo qualche preconcetto sul tema, e vedremo come ora sia il momento giusto per farlo, basandoci sui dati reali del mercato italiano.


Cosa vuol dire Digital Transformation?

Per sviluppare una strategia che permetta di ottenere il massimo valore da qualsiasi investimento in nuove tecnologie, occorre avere ben chiaro il contesto in cui esse andranno ad operare e il reale vantaggio che possono offrire.

Il rischio di non fare questo tipo di considerazioni è molto elevato: si tratta non solo di fare un investimento (spesso ingente) che non porta risultati, ma al contempo di impattare negativamente altre attività critiche.

Basti pensare a quanti danni potrebbe fare la scelta di un sistema di gestione pagamenti non in linea con le proprie necessità. Non solo il costo di adozione è solitamente elevato, ma tutte le funzioni aziendali che ne dipendono si ritroverebbero impattate da questa scelta. Per non parlare degli eventuali costi di errori d’uso o disallineamenti con altre tecnologie già in uso.

Per analizzare il contesto in cui si opera e identificare la maturità aziendale in ambito tecnologico, il modo più affidabile è valutare la capacità di utilizzare i dati all’interno dell’azienda. 

Seguendo questo criterio, secondo Mohan Subramaniam, professore associato alla Carroll School of Management del Boston College, si possono definire 4 gradi di maturità aziendale:


1. Efficienza Operativa

Si tratta della capacità dell’azienda di utilizzare tecnologie e sistemi di raccolta dati avanzati all’interno delle sue operations. Queste condizioni rendono possibile utilizzare i dati prodotti per il miglioramento costante dei processi stessi.

In aziende di prodotto questo potrebbe tradursi in sistemi di produzione integrati con sensori avanzati, in grado di fornire feedback istantanei e mirati in caso di difetti o malfunzionamenti, riducendo col tempo sensibilmente i tempi e costi.

Per quanto riguarda invece l’ambito digital, questa fase si potrebbe tradurre invece nell’impiego di soluzioni di raccolta ed elaborazione dati più solide e strutturate, in grado di fornire indicazioni azionabili per il miglioramento delle performance su canali digital.  Un esempio: l’utilizzo sul proprio sito web di una soluzione di tracciamento avanzata come il Server-Side tracking, in grado di fornire dati affidabili e mirati sulle performance del proprio sito.


2. Efficienza Operativa Avanzata

In questo grado di maturità, l’azienda è in grado non solo di raccogliere ed elaborare dati interni (provenienti cioè direttamente da asset proprietari), ma è in grado di utilizzare ed integrare i dati generati dall’interazione dei clienti con i propri prodotti.

Diventa quindi possibile ottimizzare prodotti/servizi non soltanto sulla base di osservazioni interne, ma di ricevere feedback, diretti o processati, da parte dei clienti. 

Questo apre un ventaglio di nuovi potenziali sviluppi per aziende che abbiano accesso a dati dagli utenti. Il passo dal grado precedente è molto più importante di quanto possa sembrare. In questa fase è infatti richiesta la capacità operativa non solo di raccogliere ed organizzare i dati da diverse fonti, ma anche la capacità di saperli leggere e tradurre in insight azionabili per migliorare i propri prodotti.

Prendendo i due esempi di prima, per un'azienda di prodotto si traduce nella capacità di monitorare l’uso dei prodotti da parte dei clienti, individuando pattern di comportamento che possano indicare margini di miglioramento, come nuove funzioni o modifiche.

In ambito digital, questo grado di maturità può coincidere con la capacità di un’azienda di ricostruire nella sua interezza le interazioni e i dati prodotti dai propri clienti tramite canali digitali e non. Nella pratica, questo può tradursi nella creazione di una data pipeline che colleghi diverse fonti dati, permettendo di ricostruire un profilo cliente completo, in grado di evidenziare opportunità di miglioramento dei prodotti o del servizio offerto.


3. Servizi basati sui dati della catena del valore

Questo terzo livello rappresenta la capacità di un’azienda di creare servizi e conseguentemente nuove linee di business a partire dai dati che riceve dall’uso dei suoi prodotti e servizi.

Si tratta di un grado in cui l’uso dei dati non diventa più fonte di ottimizzazione, ma una vera e propria soluzione per generare revenue.

Nel caso di aziende di produzione, può voler dire essere in grado di offrire un servizio aggiuntivo ai clienti basato interamente sui dati raccolti e processati. Un esempio sono le aziende aeronautiche che offrono servizi di ottimizzazione dei consumi per i propri velivoli, proponendo un modello di revenue basato sui risultati: più risparmio garantiscono, maggiori sono i loro guadagni sul servizio.

Nel digitale si applicano le stesse logiche, ovvero la capacità di saper creare nuove linee di business che facciano leva sulla mole di dati raccolta. Questo può tradursi in diversi modi a seconda delle tipologie di dati disponibili, la capacità di elaborarli e le caratteristiche del proprio business.


4. Servizi basati su dati di piattaforme digitali

Questo grado non è necessariamente ottenibile da tutte le aziende, in quanto consiste nella capacità di creare servizi a partire dai propri dati di prodotto e tradurli in soluzioni digitali.

Per fare un esempio, aziende di prodotti di consumo che raccolgono dati sulle interazioni degli utenti possono utilizzare quei dati per creare servizi digitali che rispondano a necessità degli utenti non attinenti al loro ambito di produzione. Ad esempio aziende di elettrodomestici che raccolgono informazioni approfondite sui consumi e comportamenti dei loro clienti potrebbero fornire come servizio dati ed analisi di consumo a società di servizi interessati. 

Nell’ambito digitale questo grado è simile a come Google Maps offre consigli di trasporto proponendo soluzioni esterne come car sharing o micro-mobility.


A quale grado occorre arrivare?

La risposta migliore è: dipende.

Non tutte le aziende e le tipologie di business infatti devono o possono raggiungere tutti questi gradi di trasformazione digitale, ma è importante che siano consapevoli di quali siano le possibilità che comporta attuare una trasformazione digitale.

La strategia migliore, che porti benefici concreti alla propria azienda, dipende da molteplici variabili come settore, budget, grado raggiunto, asset disponibili, competenze, ecc.

In questi casi, l’importante è capire il proprio punto di partenza per poter da lì costruire una strategia aziendale sostenibile che porti innovazione, senza farsi fermare in partenza da preconcetti.

Per aiutare in questo, ne abbiamo riportato alcuni individuati da George Westerman, ricercatore principale per l'apprendimento della forza lavoro nel World Education Lab del MIT. 


5 preconcetti sfatati dal COVID


1. Per i clienti è importante il “tocco umano”

Durante il periodo di lockdown gli acquisti per molte tipologie di prodotti non sono calati e i brand che hanno investito nella progettazione di una esperienza digitale ben strutturata hanno visto le proprie vendite addirittura aumentare. 

In molti casi, l’adozione di soluzioni per la personalizzazione degli acquisti che facessero leva sui dati di comportamenti degli utenti hanno permesso di offrire un’esperienza d’acquisto anche superiore, in termini di soddisfazione, rispetto al contatto diretto.


2. La regolamentazione blocca la trasformazione digitale

Spesso gli enti regolatori sono oggetto di critiche dal mondo industriale, in quanto una eccessiva regolamentazione sarebbe deleteria per la diffusione dell’innovazione.

E tuttavia in questo periodo di pandemia molte industrie hanno visto importanti aperture all’implementazione di soluzioni digitali avanzate. Un esempio è il caso dell'industria medica, nella quale molti operatori come medici e farmacisti hanno attivato servizi di telemedicina per sopperire all’impossibilità di svolgere visite di persona.


3. Meglio essere un “rapido follower”

Non sono in molti a voler essere i primi a sperimentare una nuova soluzione, adottare l’ultima tecnologia disponibile, testare un nuovo modello. In molti casi, maggiore è la solidità della posizione nel mercato, maggiore è l’avversione al rischio del management di un’impresa.

Questo fenomeno porta inevitabilmente ad una arretratezza cronica nell’innovazione, con conseguenti perdite di opportunità, se non addirittura perdita di competitività sui mercati e successiva chiusura.

Nella situazione di emergenza, aziende che non sono state in grado o non hanno voluto essere reattive e tempestive nel trasformare i loro processi hanno subito gravi perdite, se non veri e propri fallimenti.


4. Il reparto IT non può stare costantemente al passo

In molte aziende il reparto che si occupa della gestione informatica è sommerso dalle attività, molto spesso legate al mantenere operativi i sistemi presenti e ove possibile apportare modifiche o aggiornamenti prioritari.

Questo si traduce in una mole di lavoro molto elevata, di cui innovare e testare nuove soluzioni rappresenta una porzione troppo minuscola. Va poi ammesso che la velocità con cui le competenze e soluzioni diventano obsolete è in continuo aumento, rendendo ancora più gravoso recuperare terreno su questi fronti.

Questo specifico momento storico ha però visto un generale risveglio delle organizzazioni tech in tutte le industrie. 

Interventi strutturali spesso rimandati per maggiori urgenze, aumenti di budget bloccati da tempo ed un calo di attività routinarie ha aperto nuove opportunità per esplorare nuove soluzioni e fare innovazione. Questo ha permesso a molte aziende di far procedere le operations, mantenere (se non aumentare) le revenue e in alcuni casi apportare cambiamenti da tempo attesi in azienda.


5. La gente non pagherà prezzo pieno per qualcosa solo digitale

L’ultimo preconcetto di cui parliamo si basa sulla percezione della propria clientela, spesso vista come ancora legata a dinamiche e prodotti “tangibili”, in cui la componente digitale non è preponderante.

La situazione sta però velocemente cambiando e servizi e prodotti comunemente comprati tramite canali fisici sempre più spesso passano per nuovi canali digitali: basta osservare l’esplosione di servizi di delivery e vendita online.

I prodotti e servizi stessi stanno diventando sempre meno “fisici” e sempre più digitali, dai libri in formato ebook ai software venduti su abbonamento piuttosto che in copia unica.

I consumatori sono sempre più abituati a consumare ed acquistare prodotti e servizi digitali, e ogni azienda che non si adeguerà verrà irrimediabilmente danneggiata sul suo rapporto con la clientela.

Per capire come il COVID abbia reso questa verità ancora più vera, occorre capire gli effetti che ha portato sulle industrie e sui consumatori.

Spingere sull’acceleratore: COVID e digital transformation

Questi anni di pandemia hanno avuto un effetto dirompente sulla velocità e la profondità del cambiamento intrapreso da moltissime aziende di ogni settore.

Secondo la “McKinsey Global Survey of executives” elaborata tra il 7 e 31 Luglio 2020, parliamo di un’accelerazione della digitalizzazione delle interazioni coi clienti e dei processi interni di 3 o 4 anni.

Se guardiamo ai prodotti la situazione è ancora più chiara: la porzione di prodotti digitali nel loro portfolio ha accelerato di 7 anni.

Oltre a questi dati, gli investimenti in iniziative digitali sono aumentati più di ogni altra voce di spesa, e molti manager si sono detti positivi che si tratti di una tendenza che proseguirà in futuro, più che di un momentaneo balzo.

Questo ci dice due cose molto importanti:

  • Le industrie che hanno saputo muoversi rapidamente hanno avuto grandi vantaggi dalla trasformazione digitale
  • La digitalizzazione diventa non una questione di efficienza, ma un vero e proprio vantaggio competitivo di valore strategico sul mercato.

Andiamo a vedere più nel dettaglio perché questi cambiamenti sono avvenuti ora e non prima e quali ci si aspetta proseguiranno in futuro.

Perché ora e cosa proseguirà

La domanda spontanea da porsi, alla luce della velocità con cui è stato possibile apportare cambiamenti anche significativi, è:

“Perché non è stato fatto prima?”

Secondo la survey, più della metà degli intervistati ha detto che semplicemente non erano una priorità del business.

Indagando più a fondo su quali fossero le barriere a questa trasformazione, troviamo alcune interessanti riflessioni:

  • Molto citano il fallimento nella prioritizzazione
  • Circa 1/3 degli intervistati in ambito B2B indica paura della resistenza dei clienti al cambiamento, contro invece il 24% degli intervistati in ambito B2C
  • Infine, le cause maggiori individuate sono di tipo organizzativo e tecnologico: cambiamenti troppo impegnativi nei processi adottati, infrastrutture IT insufficienti, frammentazione delle funzioni aziendali.

Nonostante questi dubbi, molto è stato fatto sul fronte della trasformazione digitale in azienda, ma resta lecito chiedersi cosa rimarrà in futuro. 

Sempre secondo la survey di McKinsey, in realtà molti aspetti saranno presenti anche terminata completamente la situazione pandemica, e la realtà dei fatti attuali lo sta dimostrando.

Tra i maggiori effetti che probabilmente rimarranno troviamo:

  • Cambiamento delle necessità e aspettative dei consumatori
  • Incremento di adozione del cloud
  • Maggiore spesa per la gestione dei dati
  • Aumento della richiesta per servizi e acquisti online

Gli ingredienti per il successo

Osservare aspettative ed opinioni su futuri progressi è certamente importante per avere il polso di dove si muova il mercato, ma occorre forse capire quali sono state le cause che hanno permesso a certe aziende di avere successo, non solo sopravvivendo alla crisi ma in molti casi aumentando il proprio fatturato.

Osservando la situazione degli intervistati, le aziende di successo hanno due importanti elementi distintivi: sono stati i primi nelle loro industrie a sperimentare con nuove tecnologie, e investono più dei loro competitors in sviluppo digitale.

Se volessimo dare una lista di capacità che sono risultate essenziali per affrontare con successo la sfida di una trasformazione digitale rapida, potremmo invece individuale in:

  • Uso avanzato di tecnologie digitali pre crisi
  • Primi a sperimentare e arrivare sul mercato
  • Accessibilità di talenti in tecniche digitali e analitiche
  • Capacità di gestione di rischi e opportunità legati ai dati e alla cybersecurity

Dallo studio emerge come diversi settori ed aziende che hanno investito nella digital transformation prima e durante la crisi ne abbiano tratti vantaggi concreti, e che siano intenzionati sempre più ad allineare gli obiettivi aziendali ad una strategia digitale ampia e proattiva.

Se questi risultati riflettono un trend a livello internazionale, recenti studi hanno dimostrato come il mercato italiano abbia ancora più da guadagnare da questo tipo di trasformazione. Per dimostrarlo, basta osservare l’ecommerce e la sua recente crescita vertiginosa.

Caso pratico di digital transformation: l’esplosione dell’ecommerce in Italia

Come molte ricerche e statistiche hanno dimostrato negli anni, l’Italia è spesso stata fanalino di coda in Europa e nel mondo per lo sviluppo digitale, sia lato consumatori che lato aziende.

Ma questa tendenza sistemica, come molte altre situazioni immobili del mercato italiano, hanno subito forti scossoni nel corso della pandemia. Se da un lato abbiamo avuto effetti negativi che ancora ora si trascinano, sono anche emersi processi di cambiamento ed innovazione virtuosi, che hanno portato il nostro Paese a registrare numeri di rilievo.

Nel 2020, in cui la pandemia ha impattato drammaticamente ogni attività, le attività attinenti all’ambito e-commerce hanno registrato un +3% sulle vendite totali. Visto in prospettiva dell’intero mercato, si tratta già di un risultato rimarchevole, ma non eccezionale.

Ha invece colpito positivamente quanto emerge dai dati sul settore dell’Osservatorio eCommerce b2C Netcomm – School of Management Politecnico di Milano

Questo 2021 si appresta infatti a chiudere con un valore dell’ecommerce paria 39 miliardi di Euro, poco in termini assoluti rispetto al resto dell’Europa (in Francia e Germania vale rispettivamente 112 e 93,6 miliardi), ma che rappresenta una crescita del +19% sull’anno precedente. 

Osservando il rapporto Netcomm, emerge come vi siano grandi differenze tra nazioni, tra le quali l’Italia appare indietro rispetto alla trasformazione digitale portata avanti da altri paesi. Per contesto, a livello globale (3,5 miliardi di consumatori) la spesa media a testa risulta di 703 dollari l’anno, rispetto ad 619 dollari di un consumatore medio italiano (-12%).

Quali opportunità offre l’e-commerce alle aziende italiane?

Ad ora, l’e-commerce e l’adozione di nuove tecnologie innovative rappresenta un’importante opportunità per le PMI italiane su diversi fronti.

A livello di mercato, il nostro Paese sta vivendo e continuando lungo una trasformazione delle modalità con cui acquistiamo e consumiamo prodotti e servizi. L’aumento dell’uso del digitale come canale d’acquisto, il ruolo sempre più rilevante del mobile nelle nostre interazioni di tutti i giorni, un contesto di regolamentazioni in rapida evoluzione; sono nuove sfide che si presentano alle imprese sul mercato.

Accedere al mercato digitale per molte PMI significa non solo raggiungere direttamente il consumatore finale, ma anche aprirsi a nuovi mercati esteri, ricchi di opportunità per realtà specializzate ed in forte crescita.

Ma cosa blocca al momento tutto questo?

In molti casi giocano a sfavore la mancanza di competenze mature interne, la difficoltà di gestione del processo di cambiamento aziendale portato dalla digitalizzazione, e un generale disallineamento tra obiettivi aziendali e strategia digitale.

Tutte queste condizioni rendono la trasformazione digitale un processo difficile da affrontare, ma i cui benefici sono oggi più che mai importanti.

Conclusione sulla digital transformation

In conclusione, la Digital Transformation è oggi più che mai un processo chiave da portare avanti per le aziende che intendano crescere in futuro.

Abbiamo approfondito di come non si tratti solamente di acquisire le ultime innovazioni e cercare di integrarle all’interno dei propri processi, ma di una trasformazione che coinvolge ogni funzione aziendale e che deve essere declinata in maniera unica e coerente con le proprie necessità.

Molte aziende di diverse industrie hanno saputo intraprendere e stanno continuando con successo questa trasformazione in tempi record, rafforzati dai risultati ottenuti e facilitati da un cambio di prospettiva che sta avvenendo tra consumatori e aziende.

Per le aziende che intendono intraprendere processi di Digital Transformation, emergono alcuni punti chiave da considerare:

  • Partire dalle metriche chiave e dai bisogni dell'azienda
    1. Partire dalle metriche chiave e dai bisogni dell’azienda
      La Digital Transformation non è qualcosa di uguale per tutti. Per avere successo deve essere basata sugli obiettivi aziendali, essere analizzabile secondo metriche oggettive ed affidabili, e rispondere ai bisogni chiari.

  • Sviluppare e diffondere una cultura dell’innovazione
  • Intraprendere un vero processo di trasformazione digitale in un’azienda significa attuare un cambiamento radicale i cui effetti si estendono potenzialmente a tutte le funzioni aziendali. Questo può essere un rischio ma anche un’importante opportunità: le aziende che riescono a rendere il processo un'occasione di crescita e diffusione della cultura dell’innovazione ne trarranno vantaggi in termini di efficienza e collaborazione.

  • Assicurarsi le necessarie competenze ed infrastrutture per cogliere al massimo i benefici
  • Le aziende che compiono con successo questa trasformazione lo fanno affidandosi ad attori, interni od esterni, dalle competenze solide e in grado di costruire e mantenere le infrastrutture necessarie per raccogliere tutti i benefici. Sempre di più il vero vantaggio competitivo delle aziende sarà la capacità di accedere e sviluppare  competenze digitali avanzate, in grado di tenere il passo con il mercato.

  • Investire in innovazione a tutto tondo: nei processi, negli strumenti, nelle persone e nei modelli di business
  • Abbracciare la Digital Transformation significa saperla applicare ad ogni aspetto della propria azienda. Le nuove tecnologie possono efficientare i processi, migliorare gli strumenti utilizzati, abilitare le persone a raggiungere nuovi e sfidanti obiettivi, ma anche far nascere e crescere nuovi modelli di business.

    Le realtà che saranno in grado di intraprendere questo percorso e adottarne la mentalità si porranno come leader delle rispettive industrie, aumentando la loro capacità di adattamento davanti a sfide future e aprendo a nuove opportunità di crescita.

    15 Ottobre 2021

    KPI: cosa sono e come sceglierli

    Con questo articolo vediamo cosa sono i KPI e a cosa servono.

    Scegliere e monitorare i giusto KPI é di fondamentale importanza, sia a livello generale per un business, che a livello specifico, come ad esempio per una campagna marketing.

    Come avrai modo di vedere nell’articolo, usare i KPIs vuol dire usare i dati, ecco perché noi di Digital Pills ci siamo affezionati.

    Vediamo allora

    …e alcune considerazioni finali.

    Partiamo!

    Cosa sono e a cosa servono i KPI

    Un KPI è un indicatore che mette in mostra il successo o l’efficacia di un’azione fatta su un progetto con lo scopo di raggiungere un determinato obiettivo.

    I KPIs sono necessariamente delle metriche o dei rapporti tra metriche, ma non vale il contrario, cioè non qualsiasi metrica è, o può essere, un KPI.

    Per noi che lavoriamo nel mondo del web analytics la definizione potrebbe essere questa

    Un KPI é una misura che ci indica il successo o l'efficacia di un'azione con lo scopo di raggiungere un determinato obiettivo.

    Un KPI si può anche definire come:

    una misura che dice se un’azione compiuta porta risultati positivi o negativi in rapporto a quello che è il goal finale.

    Disporre gli obiettivi in termini numerici permette davvero di usare questi indicatori al meglio, perché rende possibile confrontare i numeri con i numeri, sapendo esattamente a che punto si é.

    Le Caratteristiche

    Quando si sceglie un KPI va sempre tenuto a mente che, tanti o pochi che siano, bisognerà sempre considerarli in modo gerarchico, con 1 KPI guida, o alcuni MACRO KPI, e più KPIs secondari, detti anche MICRO KPI, che abbiano la caratteristica di essere più controllabili e gestibili.

    Per capire meglio:

    Nel caso di un sito di informazioni nato da poco, supponiamo una testata giornalistica online, con l'obiettivo di attirare sempre più visitatori e di veder letti i propri articoli di qualità.

    I Macro KPIs potrebbero essere il numero di New Users ed il Avg. Time on Page, mentre i Micro KPIs porebbero essere il Bounce Rate, Sessions Number of sessions per user. 

    Lavorando infatti per migliorare Bounce Rate e Numero di sessioni, è altamente probabile che migliorino anche i Macro KPIs.

    3 Criteri essenziali per i KPI

    Un KPI che si rispetti dovrebbe soddisfare 3 criteri essenziali, deve essere:

    RILEVANTE: deve dare un’indicazione immediata sullo stato di salute del business, o di un qualsiasi progetto a cui il KPI si riferisce, a livello generale.

    FACILE: deve essere facilmente comunicabile e immediatamente trasmissibile, lo devono capire anche gli altri con facilità.

    CONTROLLABILE: non soltanto deve poter essere rappresentabile come numero o trend, ma deve dare indicazioni precise su come poter agire e migliorare immediatamente.

    E' molto difficile trovare un KPI dotato di tutte queste 3 caratteristiche contemporaneamente, più si avvicina ad esse, maggiore sarà l’efficacia e l’accuratezza che lo contraddistinguono.

    In generale la caratteristica della rilevanza non riesce a convivere con quella della controllabilità, ecco un esempio:

    Nel caso di un e-commerce che vende abbigliamento, il KPI fondamentale è ovviamente quello delle vendite, l’obiettivo è vendere sempre più prodotti, magari con un +5% sul numero di pezzi al mese. Se le vendite sono il Macro KPI, i Micro KPIs potrebbero essere il Bounce Rate, le Sessioni da social ed il Posizionamento medio, individuate come le variabili più influenti sul Macro KPI.

    Ecco che per poter intervenire e controllare il KPI principale si è dovuti scendere su un secondo livello, perdendo così di rilevanza.

    Supponendo che il Bounce Rate sia il Micro KPI più correlato al principale, questa metrica, una volta migliorata, porta in modo diretto miglioramenti al KPI guida

    In generale, se riesci trovare quella singola metrica che una volta toccata influisce sul Macro KPI, questa viene definita come "that one that matters the most".

    Un ultimo aspetto da considerare quando definisci i Key Performance Indicators è di scegliere delle metriche ortogonali. Questo almeno per i Micro KPI, in modo da avere toccate aree diverse del proprio business, ma soprattutto per evitare di avere più KPI che forniscono informazioni simili.

    I KPIs da evitare e quelli da scegliere

    Esistono anche alcune metriche che non devono essere assolutamente scelte come KPIs.

    Sono detti Vanity Metrics gli indicatori che in realtà non ti dicono nulla sulle reali performance del tuo progetto, né tantomeno ti aiutano a comprendere l’efficacia dei tuoi aggiustamenti o implementazioni sul campo.

    Un esempio di questa tipologia di metrica sono i followers della pagina social. Se pubblichi con regolarità o semplicemente interagisci giornalmente con i tuoi utenti, è naturale che il loro numero aumenti. Questo avviane perché guadagni in visibilità organica senza fare alcuna implementazione, quindi questa non è assolutamente una buona metrica da scegliere come KPI.

    Un'altra tipologia di metriche da evitare sono le cosiddette Lagging Metrics. Queste infatti sono metriche di natura retroattiva, che non danno nessuna informazione sullo stato presente del tuo business. Lo è per esempio il numero di utenti dello scorso mese.

    Sono invece da scegliere Leading Metrics. Queste sono metriche di prospettiva, su cui si può lavorare e intervenire ora per un riscontro futuro. Sono Leading metrics in sostanza tutte le metriche non appartenenti alle 2 categorie precedenti, su cui si può lavorare e osservare un risultato delle proprie implementazioni.

    Infine...

    Hai sicuramente capito cosa sono i KPI e che sono di fondamentale importanza, non solo per poter monitorare un progetto, ma anche per porre degli obiettivi ad un team, o ad un intero business.

    Ti guidano con i dati e sono il feedback più immediato che puoi avere rispetto alle tue azioni!

    Sono uno strumento potentissimo, ma dato che li scegli tu, devi essere molto attento. Segui bene tutte le indicazioni che hai letto fino a qui, scegli con cura e monitora attentamente.

    Prima ancora dei KPIs capisci bene quali sono gli obiettivi del tuo sito e in quale fase di evoluzione sei, ed evita di fare gli errori più comuni leggendo questo articolo, questo ti aiuterà a partire con il piede giusto 😉

    Per oggi è tutto,

    se hai domande Contattaci, saremo felici di aiutarti!

    29 Settembre 2021

    Facebook Conversion API: cos’è e come può aiutarti

    Raccogliere dati sulle proprie campagne social è una delle basi di una strategia di advertising data-driven. Ma la qualità dei dati disponibili è oggi più che mai messa a rischio da aggiornamenti di settore su privacy e cookie. Il risultato? Il concreto rischio di basare decisioni (ed investimenti) su dati poco accurati e addirittura sbagliati.

    Per rispondere ai nuovi sviluppi del settore social advertising e assicurarsi di avere dati affidabili su cui basare strategie efficaci, giunge in aiuto una novità: Facebook Conversion API.

    In questo articolo esploreremo perché si tratta di una novità importante nel mondo della raccolta dati, quali sono le sue caratteristiche, vantaggi e best practice, e infine vedremo come sia possibile impostarlo e verificarne il corretto funzionamento.

    Privacy e dati: Apple, ATT ed il futuro dei cookie

    Con il rilascio di iOS 14.5 ad Aprile 2021, Apple non ha solo introdotto nuove funzionalità, ma ha innescato un cambiamento generalizzato nel trattamento dei dati e nella tutela della privacy degli utenti.

    Con quest'ultimo aggiornamento è diventato standard per i prodotti Apple il nuovo framework per la privacy, che prevede due grandi novità:

    • Intelligent Tracking Prevention (ITP), che blocca automaticamente tutti gli accessi a cookie di terze parti e limita la funzionalità di cookie di prime parti
    • App Tracking Transparency (ATT), che ha introdotto l’obbligo per tutte le app di comunicare chiaramente agli utenti quali dati collezionano e chiederne il consenso esplicito.

    L’introduzione di questi due framework ha generato una forte risposta da aziende concorrenti e da chi si occupa di advertising, proprio perché minerebbe inevitabilmente una gran fetta delle attuali soluzioni per raccogliere dati e profilare efficacemente gli utenti.

    Nonostante questo, è indubbio che la maggior parte degli attori nel settore tech si stiano muovendo per un futuro più orientato alla privacy e tutela degli utenti, a scapito di strumenti come cookie di terze e prime parti.

    Ma per chi si occupa di dati come fare a compensare la scomparsa di questi strumenti? E in particolare, chi lavora con gli advertising sul network Facebook, quali soluzioni possono garantire affidabilità dei dati?

    Per rispondere a queste esigenze, nasce il Facebook Conversion API.

    Cos’è Facebook Conversion API?

    Conversion API è uno strumento della suite Facebook Business che consente di condividere direttamente le azioni dei clienti o i principali eventi web e offline dal proprio server a quello di Facebook.

    Si tratta nella pratica dell’evoluzione del Server-Side API di Facebook, potenziato con maggiori funzionalità, un’interfaccia più intuitiva e un più chiaro obiettivo.

    Il valore aggiunto di questa soluzione rispetto al tradizionale pixel è la sua indipendenza dai cookies. Trattandosi infatti di una soluzione lato server non è soggetta alle restrizioni applicate ai cookie lato client, causa spesso di inaffidabilità dei dati raccolti.

    Ma attenzione, non si tratta di una soluzione perfetta così da sola!

    Questo strumento non si pone come sostituto del Pixel, quanto semmai un ulteriore strumento adottabile per la raccolta dati e miglioramento delle performance delle campagne Facebook.

    Non va poi dimenticato che, come ogni altra soluzione di raccolta dati, è vincolato e regolato dalle normative di gestione della privacy. Aspetto questo ancora più importante, dato che la responsabilità di identificare quali informazioni tracciare è in carico a chi implementa questa soluzione.

    Una volta capito di cosa si tratta, è il momento di approfondire meglio cosa è in grado di fare!

    Funzionalità del Conversion API

    Tramite Facebook Conversion API (CAPI), è possibile tracciare tre tipologie di dati:

    • Conversioni web (vendite, iscrizioni)
    • Eventi post-conversione
    • Visite alla pagina

    A differenza del solo pixel, permette di migliorare l’intero funnel di vendita integrando dati da CRM e non solo. Inoltre, permette la raccolta di dati richiesti per attività come:

    • Ad targeting (come custom audiences and retargeting)
    • Ad reporting
    • Audience Insights
    • Dynamic ads
    • Conversion optimization per Facebook ads

    Vi sono poi specifiche versioni del Conversion API per app e vendite offline che permettono di tracciare eventi app, vendite in negozi fisici e visite a location.

    Si tratta insomma di una soluzione molto personalizzabile in base alle proprie necessità. Per capire meglio quali siano i vantaggi per gli utenti, vediamo nei dettagli quali siano i maggiori benefici e le modalità con cui implementare il tutto.

    Vantaggi e best practice de Facebook Conversion API

    I principali vantaggi di adottare Facebook Conversion API per il proprio sito sono tre:

    1. Più modi a disposizione per misurare le azioni degli utenti
    2. Migliore accuratezza dei dati per la targetizzazione, misurazione ed ottimizzazione (se usato assieme a pixel)
    3. Maggiore controllo dei dati condivisi con Facebook (separandolo dal pixel)

    Per massimizzare i vantaggi che questa soluzione offre, le linee guida di Facebook suggeriscono di implementare le Conversions API in aggiunta al Facebook pixel.

    Adottare una doppia implementazione permette infatti di collegare gli eventi raccolti da entrambi, andando a ridurre sensibilmente la potenziale perdita di dati utenti (ad esempio a causa di blocco dei cookie o errori del web browser).

    Fonte: developers.facebook.com

    Se correttamente implementata, pur avendo due strumenti di raccolta dati in contemporanea, non dovrebbero generarsi dati duplicati in fase di analisi. 

    Facebook infatti è in grado di applicare autonomamente un processo di “deduplicazione”: se entrambi gli strumenti registrano l’evento, Facebook compara i parametri event e eventID del pixel con i parametri event_name e event_ID del conversion API. 

    Parametri pixelParametri Conversion API (devono combaciare)
    eventevent_name
    eventIDevent_ID

    Se questi parametri sono identici, verranno raccolti entrambi ma nell’analisi verrà automaticamente eliminato uno dei due, eliminando il rischio di dati duplicati.

    Cosa puoi fare con i dati raccolti

    I dati provenienti da pixel e conversion API possono essere raccolti congiuntamente e venire utilizzati in modi affini per:

    • Ottimizzazione delle inserzioni, compresa l’ottimizzazione delle conversioni e quella del valore
    • Analisi e visualizzazione sulla maggior parte delle stesse piattaforme, tra cui Gestione inserzioni e Gestione eventi
    • Rispettano e sono sottoposti agli stessi controlli e limitazioni di Facebook

    Vediamo assieme alcuni casi pratici dove l’utilizzo dei dati raccolti tramite conversion API rappresenta un vantaggio.

    Miglioramento dell’attribuzione

    La capacità del pixel di tracciare dati è in costante calo (complici il prossimo abbandono dei cookie e le sempre più stringenti soluzioni per la privacy). 

    Grazie al Conversions API è possibile risolvere queste mancanze, fornendo una migliore attribuzione delle conversioni.

    Miglioramento della targetizzazione delle inserzioni di Facebook

    Strategie come il retargeting funzionano solo se il tracking è affidabile. 

    Senza il conversions API, la capacità di fare leva su queste funzioni andrà sempre più a ridursi.

    Riduzione del costo per azione delle inserzioni di Facebook

    L’invio di dati migliori all’algoritmo di Facebook raccolti tramite conversions API può ridurre il costo per azione (CPA) delle inserzioni. 

    Conclusione

    Facebook Conversion API rappresenta un nuovo strumento per la raccolta dati che permetterà sempre più di disporre di dati affidabili e non intaccati dall'abbandono di cookie e blocchi.

    I vantaggi che offre sono molteplici, dalla maggiore ricchezza dei dati raccolti al miglioramente delle performance delle campagne di advertising sul network Facebook.

    Per scoprire come implementare questa novità e come verificare il corretto funzionamento degli eventi settati, guarda il video a tema Facebook Conversion API caricato sul nostro canale YouTube

    11 Settembre 2021

    Che cosa caratterizza una buona visualizzazione dei dati?

    In questo articolo vedremo cosa caratterizza un'ottima visualizzazione dei dati e daremo alcune dritte molto utili a chi lavora nel mondo della Data Visualization.

    Leggi fino alla fine perché parleremo anche di uno strumento senza rivali in questo campo.

    La disciplina della Visualizzazione dei Dati è in continua evoluzione, poiché se ne fa un uso sempre più ampio, in un numero di campi sempre maggiore.
    Se all’inizio era solamente possibile trasformare i dati in grafici statici, l’evoluzione ha portato oggi a possibilità straordinarie.

    Con tutte queste possibilità però, quali sono i principi guida o le basi che permettono di costruire buone visualizzazioni?

    Gli aspetti fondamentali di una buona visualizzazione dei dati

    Per costruire una buona visualizzazione, ricordati sempre questi tre aspetti fondamentali:

    1. La visualizzazione deve essere efficace.
    2. Deve evidenziare ed esplicare i dati e le connessioni tra dati troppo difficili da spiegare a parole.
    3. Deve rendere facilmente comprensibili a chiunque le informazioni presentate e le possibili soluzioni ad un problema di cui si sta presentando.

    Ecco un perfetto esempio: Le vendite di Nintendo nel corso di tempo e la ripartizione tra Software e Hardware.

    Queste regole di base molto generiche, devono restare un must sia quando i dati da gestire e presentare siano tanti, che quando siano pochi.
    La complessità del lavoro non deve farti rinunciare a queste linee guida.  Anzi, più è alta la mole di dati da gestire maggiore si rivela la necessità di seguire queste regole per arrivare ad un buon risultato.

    Dopo aver compreso questi aspetti, la prima cosa da fare quando si pensa ad una visualizzazione è di capire esattamente quale messaggio devi trasmettere e con quali dati.
    E’ molto importante anche avere chiaro chi sarà il fruitore della tua dashboard, per evitare di presentare informazioni giuste alle persone sbagliate, o viceversa.

    Ancora un paio di regole per Visualizzazioni Efficaci

    In linea generale, in un contesto aziendale ad esempio, è molto difficile che al direttore finanziario interessino i conversion rate delle ultime campagne di marketing, è molto più probabile che sia interessato alla spesa di queste campagne messa in relazione con i profitti che ha generato.

    Di solito la complessità del lavoro deriva dal numero di variabili che ci sono in gioco: scegliere il grafico giusto fa la differenza!

    Una distribuzione statistica di alcune variabili rappresentata con un grafico a torta sarà praticamente inutile, perché l’utente non riesce a cogliere il messaggio.
    In generale, i grafici a torta o ciambella sono da evitare se le variabili sono più di 3, perché si arriva ad un punto dove la visualizzazione non è efficace, non riesce a trasmettere in modo chiaro il messaggio.

    Per la visualizzazione della distribuzione statistica dei dati numerici, solitamente un istogramma o un box plot, se c'è interesse nelle sue modalità e valori anomali, sono la scelta più adatta.

    Anche il modo di usare i colori può essere significativo.

    Sempre nel caso di una distribuzione statistica, in presenza di valori anomali o di outliers, per metterli in evidenza ancora meglio sarà indicato usare dei colori accessi per farli risaltare e che possibilmente comunichino dei concetti già di per sé.

    Se ad esempio in un mese particolare dell’anno ci sono stati dei ricavi al di sopra della media, si potrà evidenziare questo dato con un verde, colore che comunemente richiama una cosa positiva, mentre se in un altro mese ci sono stati dei costi fuori dalla media, questo potrebbe essere evidenziato con del rosso.

    Si può poi usare lo stesso colore ad esempio, ma con sfumature diverse, avendo una sfumatura più intensa per i dati maggiori e una meno intensa per quelli minori.

    Un'ottima visualizzazione dovrebbe ridurre la complessità insita nelle tante variabili dei dati e nel caso si dovessero compiere delle scelte, deve aiutare il processo decisionale.

    In un progetto complesso, è ancora meglio se vengono presentati in modo gerarchico seguendo le priorità aziendali.

    I principi più importanti

    Nel complesso, indipendentemente dalle variabili e dalle osservazioni disponibili, bastano alcune regole pratiche per rendere le tue visualizzazioni un mezzo potente per illustrare il concetto alla base dei tuoi dati.
    Esistono tantissime regole per le visualizzazioni, ne riportiamo ancora alcune che pensiamo siano importanti.

    • Attenzione a non far contrastare i colori dei grafici con il background
      La regola standard è quella di avere un background abbastanza neutro che ti possa dare la massima libertà in termini si sfumature e colori per i tuoi grafici. Regolati pensando anche al fatto che le dashboard potrebbero essere stampate.
    • Dai dei punti di riferimento per ogni variabile quando necessario.
      Se ad esempio fornisci i dati in termini di vendita per quest’anno, non tutti potrebbero sapere se si tratta di buone performances o meno, indipendentemente dal fatto che la curva sia in crescita o in decrescita.
      Mostrando invece anche i dati delle vendite dello scorso anno, chiunque potrebbe capire meglio, semplicemente avendo un punto di riferimento.
    • Etichettare i grafici a barre con i numeri, ma non troppo.
      E’ bene aggiungere solo le indicazioni strettamente necessarie per far comprendere. I numeri lunghi sono generalmente difficili da visualizzare. Se la precisione del dato non si rivela fondamentale, è consentito arrotondare. Ad esempio, il valore "10,523" può essere visualizzato come "10K" su un grafico a barre.
    • Dove possibile, ordina i dati per enfatizzare la scala, ma fai attenzione a non trasmettere un messaggio sbagliato.

    In questa visualizzazione viene messo in evidenza la percentuale di persone che risponde ai sondaggi per settore di appartenenza.

    Conclusioni

    Queste erano alcune tra le più importanti direttive di cui potevamo parlarti.

    Ricorda sempre: più riesci a togliere dalle tue visualizzazioni, meglio è. Devi lavorare con l’essenziale in termini di grafica, perché questo ti aiuta a seguire anche i principi di cui abbiamo parlato durante l’articolo.

    I grafici che hai visto nell’articolo, tutti meno uno, sono stati creati con Tableau, un software di Data Visualization senza eguali.
    Se vuoi scoprire tutte le potenzialità di questa piattaforma, e come sfruttarle al meglio, visita la pagina dedicata a Tableau! Dagli un'occhiata, siamo sicuri che non resterai deluso/a.

    Se hai domande Contattaci, saremo felici di aiutarti 🙂

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